Week #22 – week #22?

Credo di essermi persa nel mio stesso sistema di conteggio delle settimane e del tempo in generale, ma so che tra un paio di giorni compirò 5 mesi sull’isola. Tanto tempo, ma troppo poco.

Sono le 3 del mattino e sento mia sorella fare lo spelling della password del suo pc a mia mamma che dall’altro lato del telefono si lamenta per non essere riuscita a recepirla correttamente nemmeno al terzo tentativo: “una più complicata no?!”. Scene da…preparazione bagagli.

Ho il magone solo all’idea di dover accompagnare Ceci all’aeroporto domani. Dieci giorni sono troppo pochi per riuscire a vedere tutto, per riuscire a far vivere a una persona St. Martin e St. Maarten, almeno come avrei voluto, come la vivo io. Sono troppo pochi anche per riuscire a ritrovarsi del tutto, come prima, com’eravamo abituate a casa: a vederci sempre, o comunque spesso e a considerarci “complementari”. Credo che la distanza ci abbia anche indotte a diluire questa complementarietà, assorbendo reciprocamente qualcosa l’una dell’altra: io sono tornata a frequentare discoteche, mia sorella – da buona studentessa di architettura – mi parla “tetti con numerose falde inclinati in maniera differente e bizzarra” guardando le abitazioni con la mia stessa ironica spocchia.

La sua vacanza si conclude a casa dei nostri amici italo-olandesi con una cena a buffet, chiacchiere e perle: Manuel nell’illustrarci la sua personalissima teoria secondo la quale consumare troppi alcolici impedisce il mantenimento dell’abbronzatura, perdendosi – credo – in una traduzione letterale dall’olandese all’italiano se ne esce con “l’alcool sbronza”. Non fa una piega, teoria appuratissima.

Facciamo volentieri un giro allo Sky dopo cena, per un ultimo saluto e con l’intenzione di tornare a casa presto. Usciamo dal Tantra, una discoteca di Maho alle 2 passate, con articolo da scrivere (io) e valigia da fare (mia sorella). Disgraziate!

La sveglia è alle 6. Dopo 2 ore e qualche minuto di sonno, sulla strada per l’aeroporto e con la luce del primo mattino ho rischiato i tirare sotto un paio di tizi che facevano jogging (anche carini, sarebbe stato un peccato).

Inutile dire che l’arrivederci all’aeroporto è stato difficilissimo. Alle 7,35 ero sulla spiaggia di Mullet Bay a fringnare ancora con una Diet Coke in mano, cercando di svegliarmi e di combattere la sete. Alle 7,45 a Sandy Ground un “lou-lou” sta già grigliando sul ciglio della strada delle cosce di pollo. Sono ancora stordita dal sonno e percepisco un’altra atmosfera nelle zone dell’isola che sto attraversando e che sono abituata a frequentare in altri orari. Vado a Concordia, quartiere di Marigot alla ricerca della posta centrale, per recuperare un pacco mai ricevuto a casa e che sarebbe già dovuto arrivare. Scopro che il sabato aprono più tardi del solito, alle 9. È destino che vada a consolarmi e fare passare il tempo da Serafina’s coccolandomi con un croissant. Cacchio, già alle 8,15 le vetrine di questo posto fanno venire un attacco di diabete: tra macarons, torte, brioches, pasticcini, tralasciando il reparto pane, panini e annessi, non c’è scampo è come se ti dicessero “Mangiami! Mangiamiii!”. Il tizio davanti a me in coda prende una fetta di chesse cake: ottima idea. Non riesco a pronunciare “succo di frutta” per completare l’ordinazione, in nessuna lingua, ho il cervello che funziona come un motore a scoppio, ma fortunatamente la commessa capisce al volo i miei gesti.

Cecilia sarà ormai decollata. Mi sento di colpo sola. Dal mio telefono – il cui schermo si è frantumato ieri sera per la seconda volta – sono misteriosamente sparite delle applicazioni e mi aspettano 9 ore di babysitting a un animale selvatico. Tristezza…