Week #9.1 – scarpe

Bad new: i miei adoratissimi sandali infradito Les Tropéziennes, compagni di mille avventure (e che speravo di poter ammortizzare ulteriormente) sono passati a miglior vita. Decido comunque di tentare la terapia intensiva cercando un calzolaio (capace) sull’isola. Un forum su internet consiglia quello che si trova nei pressi della Marina Royale, a Marigot. Tenterò… Sono scettica da quando ho intrapreso la ricerca di una lavanderia a secco: ho visitato parecchie laveries, ma senza successo. Ebbene sì, perché su questo “scoglio in mezzo all’oceano” ci sono ben tre centri assistenza (nonché rivenditori autorizzati) Apple, ma sembra non ci sia una lavanderia a secco!!

Ottima idea portarsi un quarto del guardaroba estivo in seta! Inevitabile a pensarci bene, perchè “siamo ciò che vestiamo”. Alla domanda di Alberta Marzotto (e titolo del suo libro) “L’abito fa il monaco?” rispondo sì, per quanto non sia un capo di abbigliamento in sé a rappresentarci e di conseguenza a permetterci di delineare almeno una parte delle infinite sfumature di una personalità, quanto il modo di portarlo e di farne il proprio stile. Non so come sono arrivata a questa riflessione, certo un po’ mi mancano le possibilità che offre lo shopping milanese, qui la scelta non abbonda e l’abbigliamento comune tendenzialmente si limita a costume, pareo e infradito.

Bando ai frantendimenti, non sono una fanatica degli acquisti, le mie misure e il mio portafoglio non me lo permettono. Trascorrere interi pomeriggi per negozi mette a dura prova il mio sistema nervoso, riesco a farlo in rare occasioni e con la giusta compagnia. Tendo a evitare gli outlet come la peste se non per acquistare stock di mutande e collant per tutta la stagione invernale. Al massimo torno a casa con una t-shirt, rigorosamente bianca. Ormai ne ho collezionate di ogni genere: con lo scollo a barca, con discrete rouges sul davanti, la superclassica girocollo, quella con lo scollo a “V” e i bottoncini, con drappeggio sulla scollatura… sono senza speranza.

Compro quello che mi piace, che mi concedo ritenendolo “quasi” indispensabile senza remore, perché sarebbe più difficile sopportare il pentimento per un mancato e bramato acquisto che un addebito sulla carta di credito. Il mantra che alleggerisce la coscienza è “lo prendo, tanto lo metterò per 10 anni”. Credo di averlo pensato anche per le Tropéziennes.

Non sono una fanatica nemmeno di calzature, ho il piede troppo lungo che restringe inevitabilmente la scelta, detesto il plateau e un paio di zeppe ai miei piedi sembrerebbe un abuso edilizio. Mi assicuro semplicemente di avere scarpe dalle cromie “passepartout” per ogni stagione: banche, nere, beige e cuoio, che si tratti di sandali o stivali (stivali bianchi no, li lascio volentieri a Britney Spears). Gli acquisti in più varianti cromatiche sono il mio forte, come con i golfini: tutti uguali (anche 4 o 5) ma di colore diverso, così risolvo il problema in un colpo solo. Molto maschile come atteggiamento, fa riflettere…

Mi piacerebbe essere un paio Pigalle di Louboutin in vernice nera con l’immancabile suola da red carpet, ma mi devo accontentare di essere un paio di ballerine verde pisello dell’Artigiano di Brera, almeno per ora.