Week #13.1 – st. barts

Venerdì di magro, caccia al pool guy sospesa. Si va a Saint-Barthélemy, per glia amici St. Barts.
Prendo il farry boat che parte dalla gare di Marigot alle 9,15. Arrivo puntuale – incredibile – e mi cerco un posto accanto alla ringhiera per vedere meglio il mare, come i bambini. Non avevo calcolato gli schizzi d’acqua in pieno viso che mi sarei presa, ma almeno a bordo offrono succhi di frutta con ghiaccio. Anche se la giornata è soleggiata e non c’è molto vento, l’oceano si fa sentire e alla toilette del traghetto si forma la coda. A me l’odore di salsedine fa venire voglia di bagna cauda e Signorino…

Sbarcati a Gustavia, mi dirigo verso il primo bar che incontro per una consultazione della mappa dell’isola accompagnata da caffè espresso.

Seguo la via delle boutique, ma il caldo e l’assenza di brezza mi portano quasi per inerzia in spiaggia, a Shell Beach. È una piccola baia a due passi dal centro di Gustavia: qualche villetta, in un angolo una boutique di imprecisati ammennicoli e un bar/ristorante con lettini. Per il resto: spiaggia di conchiglie. Conchiglie intere o frammenti levigati dal mare. Ha un colore che varia dal bianco, al beige, al rosa cipria, molto luminosa: il riverbero del sole è pazzesco! Ci si può quasi tuffare dalla riva, l’acqua diventa subito profonda e le conchiglie sul fondale lasciano spazio a qualche scoglio. Difficile stare sole, sembra di bollire. Volendo evitare il rischio di mani palmate per aver trascorso tutto il tempo in acqua, dopo un ultimo bagno riprendo il mio tour per Gustavia in lungo e in largo.

Qui la bassa stagione si fa davvero sentire: il braccio sinistro del porto è come atrofizzato. Un sacco di villette color pastello e con i tetti dello stesso rosso chiuse, disabitate. I negozi e i ristoranti quasi tutti chiusi, il deserto. Per il caldo mi sono quasi immaginata una palla di rami rotolare per strada.

Torno nella parte destra del porto di Gustavia – che è a forma du “U” – e mi dedico all’ispezione delle vetrine. Quasi non c’è altro: boutique, boutique, gioielleria, negozio di souvenir, boutique… Poche quelle che espongono i prezzi in vetrina, le più scarse. Perdo gli occhi su abito pantalone rosso corallo, un sogno. Continuerò a sognarlo insieme a una piega alla Farrah Fawcett.

Con disinvoltura e un minimo di propensione al rischio, sull’uscio di una gioielleria la proprietaria mi infila al dito un anello completamente d’oro avente la forma dell’isola che avevo notato e indicato in vetrina. Artigianale, pulito, asimmetrico, bellissimo. Un altro sogno. Che qualcuno si faccia avanti perDio! Non era nemmeno troppo caro, considerando che pesava una quintalata. Potevo fargli una foto…

Il giro prosegue tra negozi e locali un po’ aperti, un po’ chiusi per ferie. Muoio di sete e comincio a tornare verso la gare marina vista l’ora (il ferry boat parte alle 17,15 ed è l’ultimo della giornata). Noto fuori da una boutique un manichino da uomo che indossa una t-shirt con la scritta “quit your job, buy a ticket, get a tan, fall in love, never return”. DEVE essere mia!

Purtroppo mi sono dovuta accontentare di quella con la scritta “escape. travel. live.”, più sintetica, stampata sulle tette. E mi è anche un po’ strettina. Più di così…

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Shall Beach, St. Barts

Week #13 – tsunami e plenilunio

Sembra che i cicloni ritardino il loro percorso quest’anno. Ottimo, sono terrorizzata all’idea di vivere l’esperienza di un uragano. In compenso ho acquistato un soprannome: “Tsunami”, solo per aver avuto un piccolo incidente lavando una pentola in cucina, provocando un onda anomala. Per restare in tema meteo, la bassa stagione si sta facendo sentire: piove un giorno sì e uno no ed è spesso nuvoloso.

Il sabato mattina è nuvoloso e visitando un negozietto di abbigliamento nel villaggio di BO mentre aspetto che Arnaud finisca la sua seduta dall’osteopata scopro che a Marigot c’è la “Braderie”: tutti i negozi allestiscono bancarelle di fronte ai rispettivi ingressi proponendo la merce a prezzi stracciatissimi. La commessa di BO mi assicura che si fanno affari. Alla parola “affari” non esito a mollare tutti a casa e partire in direzione Marigot incuriosita da questo mercatino.

Non c’è troppa gente – bene, altrimenti avrei fatto retromarcia in un attimo – Rue de Hollande è chiusa al traffico e caotica, così mi limito a sbirciare tra le boutique che circondano la Marina Port La Royale. Dopo aver fatto uno di quelli che definisco “acquisti del secolo” e aver svaligiato una profumeria duty free, soddisfatta, rientro a casa. Spendere denaro, ma soprattutto spenderlo bene e per sé stessi, mette inevitabilmente di buon umore. Come diceva il filosofo francese Jules Renard (tra l’altro omonimo del piccoletto di casa) “se i soldi non fanno la felicità…resistuiteli”. Peccato che non bastino mai…

È l’ultimo week end di Wendy e Arnaud prima di rientrare in Francia e ci si gode tutto il giorno la spiaggia per fare incetta di raggi solari e pina colada. Il momento delle valigie è teso e triste e, io sono ancora più contenta di non doverle fare.

Mi ritrovo ancora una volta ad accompagnare qualcuno all’aeroporto, stavolta proprio nel giorno in cui sarei dovuta partire io. Invece resto…per fare aggiustare la lavatrice, il climatizzatore dell’auto e il frigo (che hanno deciso di smettere di funzionare contemporaneamente). Succede sempre qualcosa durante il plenilunio. Per compensare a ciò ho trovato una lavanderia a secco a Marigot. Urrà!!

Decido di slittare la ricerca del nuovo pool guy (quello di prima deve essersi tuffato in una piscina vuota) a dopo il week end. Qui li devi braccare per strada, mentre passano in macchina tra le villette carichi di tubi azzurri e secchi di cloro. Anche con i giardinieri funziona così. Non so quale perversione si nasconda dietro questa ostilità nell’utilizzo dei cellulari, sembra di fare un salto nel passato.

 

Week #9.1 – scarpe

Bad new: i miei adoratissimi sandali infradito Les Tropéziennes, compagni di mille avventure (e che speravo di poter ammortizzare ulteriormente) sono passati a miglior vita. Decido comunque di tentare la terapia intensiva cercando un calzolaio (capace) sull’isola. Un forum su internet consiglia quello che si trova nei pressi della Marina Royale, a Marigot. Tenterò… Sono scettica da quando ho intrapreso la ricerca di una lavanderia a secco: ho visitato parecchie laveries, ma senza successo. Ebbene sì, perché su questo “scoglio in mezzo all’oceano” ci sono ben tre centri assistenza (nonché rivenditori autorizzati) Apple, ma sembra non ci sia una lavanderia a secco!!

Ottima idea portarsi un quarto del guardaroba estivo in seta! Inevitabile a pensarci bene, perchè “siamo ciò che vestiamo”. Alla domanda di Alberta Marzotto (e titolo del suo libro) “L’abito fa il monaco?” rispondo sì, per quanto non sia un capo di abbigliamento in sé a rappresentarci e di conseguenza a permetterci di delineare almeno una parte delle infinite sfumature di una personalità, quanto il modo di portarlo e di farne il proprio stile. Non so come sono arrivata a questa riflessione, certo un po’ mi mancano le possibilità che offre lo shopping milanese, qui la scelta non abbonda e l’abbigliamento comune tendenzialmente si limita a costume, pareo e infradito.

Bando ai frantendimenti, non sono una fanatica degli acquisti, le mie misure e il mio portafoglio non me lo permettono. Trascorrere interi pomeriggi per negozi mette a dura prova il mio sistema nervoso, riesco a farlo in rare occasioni e con la giusta compagnia. Tendo a evitare gli outlet come la peste se non per acquistare stock di mutande e collant per tutta la stagione invernale. Al massimo torno a casa con una t-shirt, rigorosamente bianca. Ormai ne ho collezionate di ogni genere: con lo scollo a barca, con discrete rouges sul davanti, la superclassica girocollo, quella con lo scollo a “V” e i bottoncini, con drappeggio sulla scollatura… sono senza speranza.

Compro quello che mi piace, che mi concedo ritenendolo “quasi” indispensabile senza remore, perché sarebbe più difficile sopportare il pentimento per un mancato e bramato acquisto che un addebito sulla carta di credito. Il mantra che alleggerisce la coscienza è “lo prendo, tanto lo metterò per 10 anni”. Credo di averlo pensato anche per le Tropéziennes.

Non sono una fanatica nemmeno di calzature, ho il piede troppo lungo che restringe inevitabilmente la scelta, detesto il plateau e un paio di zeppe ai miei piedi sembrerebbe un abuso edilizio. Mi assicuro semplicemente di avere scarpe dalle cromie “passepartout” per ogni stagione: banche, nere, beige e cuoio, che si tratti di sandali o stivali (stivali bianchi no, li lascio volentieri a Britney Spears). Gli acquisti in più varianti cromatiche sono il mio forte, come con i golfini: tutti uguali (anche 4 o 5) ma di colore diverso, così risolvo il problema in un colpo solo. Molto maschile come atteggiamento, fa riflettere…

Mi piacerebbe essere un paio Pigalle di Louboutin in vernice nera con l’immancabile suola da red carpet, ma mi devo accontentare di essere un paio di ballerine verde pisello dell’Artigiano di Brera, almeno per ora.

Week #6 – gold

È venerdì mattina e le crocchette di Tempo sono finite: ci ho messo 20 minuti buoni a trovare il veterinario a Grand-case, ma missione compiuta. Il meteo sembra promettere bene, mi fermo al villaggio per “provare” la spiaggia. È deserta, gli stabilimenti e i ristoranti sono chiusi (strano), ci sono solo io. In lontananza qualche “local” che porta a spasso il cane e i soliti crackman che vagabondano.

L’acqua è cristallo e in questa spiaggia – a differenza delle altre – diventa subito profonda, come piace a me. I gabbiani trovano rifugio sui tender legati alle boe che delimitano lo spazio per i bagnanti (non vorrei mai essere nei panni di coloro che ci dovranno salire successivamente). Passo il pomeriggio a guardare i bambini che si tuffano dal molo con un po’ di invidia.

Nel pomeriggio ricevo un invito per l’aperitivo, sul Tender To. È uno yacht di 30 piedi color oro – oro! – ormeggiato alla marina di Fort Saint Luis (a Marigot) dove spicca senza pudore tra le altre imbarcazioni. Mi fa venire in mente “Gold” degli Spandau Ballet (che poi ovviamente non riesco più a togliermi dalla testa). Gli interni sono tutti beige, candidi e sofisticati, tutto profuma di nuovo. I lavori di ristrutturazione sono ancora in corso, ma è già una meraviglia. Non voglio scendere! Non voglio scendere!

Scendiamo per la cena al Plongeur, proprio di fronte all’ingresso della marina. Serata piacevolissima, ma dopo la sambuca a fine cena inizio ad avere difficoltà, grosse difficoltà.

Il mattino seguente mi sveglio intorno alle 10 per il rumore dell’acqua che sbatte contro la parete della barca: barca??!! Mi sono sentita male ed evidentemente non era il caso che mi mettessi alla guida per tornare a casa. Quando realizzo di aver fatto passare a Chris – lo skipper – una serata indimenticabile (e non in senso positivo) la frase “che figura di merda!” inizia a ripetersi in loop nella mia testa, come a formare un vortice in cui non c’è spazio per altri pensieri.

Temo di aver perso il mio nuovo amico nel giro di due ore, record.

Il sabato trascorre in “fase ripiglio”, se dovessi descrivere la giornata in un tag twitter sarebbe: #mangiotuttoquelllochehonelfrigocompresiisurgelatigurdandofilmchenonriescoaseguire. Mi riprendo verso l’una di notte guardando CSI, anzi Les Experts (come si chiama in Francia).

La domenica vola, mentre sono spiaggiata a riva, qui a Orient Bay. Mi raggiunge un amico per fare una chiacchierata e bere una birra verso sera, mentre consultiamo siti di stazioni metereologiche per verificare la situazione delle correnti atlantiche in vista degli uragani di agosto. Nulla di allarmante per ora, almeno sembra.

Concludo la giornata al Calmos cafe: ci devo andare almeno una sera a settimana, ne sono ormai dipendente. Come è possibile innamorarsi così di un baracchino sulla spiaggia?! Come sempre qui trovo le condizioni ideali “buttare giù” qualche pensiero e produrre nuovi articoli, mi ispira…

Lunedì è l’Emancipation Day a St. Maarten, quindi festa per la parte olandese dell’isola: niente spesa tax free, ci penserò domani. Vado a trovare Jear a La Playa per fare due chiacchiere e godermi per un paio d’ore lo splendido sole. Peccato aver dimenticato di mettere la crema solare sulle braccia. Peccato. Vorrei staccarmele.

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Il Tender To

Day #22 – shopping

Anche oggi non è giornata da spiaggia, né da bucato.

Salto sul fuoristrada e vado a fare un giro a Philipsbourg, così posso approfittarne per fare la spesa. Hanno tolto l’acqua corrente (credo per dei lavori alle tubature) e siccome non si può mai sapere quando tornerà meglio fare scorta di bottiglie.

Non amo molto i supermercati cerco di restarci sempre il tempo strettamente necessario per gli acquisti indispensabili. Li frequento per necessità, è un po’ come andare dal dentista per me.

Le Gran Marché però è un’altra cosa: c’è tutto, tutto quello che puoi desiderare. Soprattutto loro: gli Australian Gold. Uno scaffale intero di meravigliosi prodotti solari che in Italia sono difficilmente reperibili e ti fanno pagare a peso d’oro. M’illumino, devo comprare un flacone.

Il reparto pane e dolci non sto nemmeno a descriverlo. I francesi sono un passo e un panetto di burro avanti in quanto a prodotti da forno.

Finisco di perlustrare tutti i corridoi fino a quello dei vini, l’ultimo. C’è uno spazio dedicato ai vini Italiani e se non fossi nella mia “settimana detox” quel Gavi di Pio Cesare 2008 non l’avrei di certo lasciato lì.

Concludo in bellezza infilando nel carrello Vanity Fair: sono proprio alla svolta, non compravo una rivista femminile da mesi. Al massimo mi sono concessa il Corriere con l’inserto del sabato per fare trascorrere quel paio d’ore di viaggio in treno il sabato mattina, ritornando a casa da Milano.

La cosa meravigliosa di questo supermercato è che i fattorini, oltre a riempirti le borse alla cassa, caricano il carrello e lo conducono fino alla macchina, mettendo poi tutta la spesa nel bagagliaio. Mancia dovuta!

Riprendo il tour e dalla zona commerciale di Philipsbourg finisco (per sbaglio) nell’entroterra, a St. Peters. È un paesino grazioso, di fitte villette color pastello, una diversa dall’altra. Non è da immaginare come un classico villaggio americano degli anni ’50 (anche se qui tutto ha un’aria molto statunitense, soprattutto nella parte olandese dell’isola), curato e con i vasi fioriti sui davanzali delle finestre. Qui è tutto un po’…sciupato, imperfetto. Le abitazioni mostrano le cicatrici lasciate dal passaggio degli uragani. Un po’ per mancanza di denaro (non è da tutti potersi permettere di ricostruire o aggiustare la propria casa in media ogni 2-3 anni), un po’ per una carenza di attenzione all’architettura, le cittadine tendono ad essere nel complesso trasandate: sono come una bella donna vestita e acconciata di tutto punto, ma con il rossetto sui denti e le scarpe non lucidate.

Torno sulla strada verso casa, passando da Marigot. Dopo una coda di mezz’ora, giunta quasi alle porte della città, compare un grosso cartellone giallo che indica dei lavori in corso e un’unica via percorribile (ma non potevano segnalarlo prima!!). La mia pazienza ha un limite, anche ai Caraibi. Faccio inversione percorrendo mezza rotatoria al contrario (inizio anch’io a guidare come i peggiori cani stando qui) e torno indietro passando dall’aeroporto, anche se questo implica allungare il tragitto.

30 km, un’ora e una quarantina di dossi dopo arrivo finalmente a casa: manca ancora l’acqua, porc…

Day #14 – déjà?

Sono ormai a Sxm (sigla che definisce St. Martin) da due settimane, banalmente dirò che mi sembra di essere arrivata ieri.

Faccio un piccolo bilancio: il mio francese va migliorando (anche abbastanza velocemente).

Mi sono truccata per la prima volta due sere fa, dopo 15 giorni “acqua e sapone”: record assoluto.

Anche le zanzare di qui hanno capito che ho il sangue cattivo e stanno iniziando a lasciarmi in pace. Contribuisce all’armistizio l’aver finalmente inteso che il classico Autan Family non funziona con le zanzare tropicali.

Sono riuscita a non perdermi a Marigot l’altra sera, ma continuerò imperterrita a perdermi ad Alessandria: un sei scarso al senso dell’orientamento.

Io e Calypso (che ho smesso di chiamare erroneamente Cyclope) continuiamo a non andare particolarmente d’accordo: se non la smette si salire sul mio letto e spargere peli tra le lenzuola non vedo come possa migliorare il rapporto.

Sono riuscita a svegliarmi alle 6,20, l’obiettivo di domani saranno le 6,10 (anche se ho forti dubbi di riuscirci).

L’abbronzatura non è definibile come tale, piove quasi tutti i giorni (in realtà pur essendo castana ho la pelle di una svedese, no way anche quando c’è il sole).

Credo di non aver perso un etto e da Milano mi bacchettano perché segua un regime detox (lo farò).

Non ho ancora visto ragni formato tarantola, che si siano estinti come nei miei sogni?

Con i problemi di matematica di Jules va meglio: siamo passati dal latte di capra al gusto ribes a calcolare quantità di bicchieri di (cristiano) succo di frutta.

Ho preso confidenza con il vecchio, enorme fuoristrada verde che mi è stato dato in dotazione (vai di pozzanghere come se non ci fosse un domani).

Da alcuni aspetti tipicamente francesi non si scampa: il burro sempre, ovunque, comunque; le parole tradotte in lingua anche se non è necessaria traduzione (non sia mai che nel dizionario La Rousse compaia una parola straniera); i baci, due. I francesi ti baciano sempre, non gli interessa come ti chiami, loro ti baciano prima. Il risultato è la totale impossibilità di memorizzare un nome. Finirò per chiamare tutti “Hey” (come faccio anche in Italia d’altronde) e loro mi chiameranno Françoise (perché in Italia – per un motivo che non mi so spiegare – vengo chiamata sovente Francesca, una volta anche Antonia, ma questa è un’altra storia…).

Una cosa ho notato: le persone non mi guardano più i piedi (o forse non me ne accorgo). Ricordo che salendo sul treno, in metropolitana a Milano, i passeggeri avessero la tendenza a guardarmi i piedi per controllare se avessi i tacchi. Lanciare uno sguardo “no idiota, sono proprio alta così” un po’ mi manca.

Day #4 – Marigot

Come ogni mattina controllo di non avere ragni o scolopendre dentro le scarpe (accortezze necessarie ai Caraibi).

Porto Walter (un amico) a lavoro in aeroporto, così ho la macchina a disposizione (qui non si può vivere senza auto). Con “I love rock ‘n roll” a palla procedo lentamente (limite dei 30 km/h e dissuasori di velocità ogni 20 metri) verso Marigot, centro principale della parte francese dell’isola. Capatina al boureau du turisme per recuperare una cartina e mi butto in centro “città”.

L’acquazzone tropicale di ieri ha reso il clima ancora più umido. Con circa 30 gradi oggi si fatica a resistere, anche passeggiando all’ombra.

Proseguo verso il porto, quasi deserto: la maggior parte delle imbarcazioni è in secca per la bassa stagione e in vista del periodo degli uragani (agosto-settembre).

Affacciato sul porto un mercatino coperto, delizioso, in cui anziane signore di colore con copricapi coloratissimi “gareggiano” per il mango più buono di St. Martin. Devo dire che quello del fruttivendolo di Viale Montenero se la gioca QUASI alla pari.

Malheureusement scopro anche La Croissanterie, il posto in cui vorresti fare colazione a vita, seduto all’ombra, respirando il profumo del forno, guardando le barche della Marina Port La Royalle.

Pago il conto utilizzando anche 5€ con la veste grafica aggiornata e il gestore del locale impazzisce: chiama moglie, figlio e dipendenti a rapporto per mostrare a tutti la nuova banconota “que cette fille a apporté de l’Italie”. Stupirsi, stupire per cose a cui normalmente non avremmo dato peso: vivere su un’isola è anche questo.

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La Marina Port La Royalle a Marigot