Week #21 – sorellame

Tre giorni fa mia sorella è atterrata a St. Maarten. L’ho attesa per più di un’ora, trepidante, agli arrivi. L’ho vista attraverso il vetro acidato che separa la zona di recupero dei bagagli dall’uscita camminare avanti e indietro ansiosamente. Ho capito subito che il suo bagaglio doveva aver preso un’altra destinazione. Al telefono mi da conferma e ben tre miei “porca troia” quasi consecutivi fanno eco scontrandosi con l’alto soffitto che sormonta la zona degli arrivi del Princess Juliana, urtando i timpani delle sole altre due persone presenti in quell’ala dell’aeroporto, a quell’ora: una tizia della security e quella del punto informazioni.

Saliamo in macchina con la contentezza per l’esserci rincontrate un po’ guastata dalla sparizione della valigia (con dentro buona parte del mio guardaroba estivo) e inizio a trasferire a Ceci le ultime novità o ad approfondire quelle vecchie, interrotte dalla voce della seconda me in versione “accompagnatore turistico”. Credo di non aver mai parlato tanto in vita mia, in una sola mezz’ora. Ed ero talmente emozionata quando le ho portato a tavola una fetta di torta al lampone e cioccolato bianco con guarnizione di macarons (una bomba!!) di Serafina’s, da non essere riuscita a far funzionare quella maledettissima candelina che intona il motivo di Happy Birthday (sì, ho anch’io un recondito lato trash). Troppo impaziente, le istruzioni sono riuscita a metabolizzarle solo dopo il primo boccone di torta.

L’ansia da prestazione mi distrugge: “dunque potremmo fare questo, poi quest’altro, domani invece questo… Ma le piacerà quest’isola?”. In veste di sorelle maggiori ci si sente sempre responsabili dei fratelli/sorelle minori, per natura credo. E molto spesso il più duro compito è cercare di renderli – se non felici – soddisfatti e riconoscenti.

Alla fine ho optato per una terapia di adattamento drastica, quella del “facciamola bere e questo posto diventerà subito il paradiso”. La giornata parte con una pinacolada a Palm Beach alle 11,30 dopo una passeggiata lungo tutta la Baia Orientale. La sera, essendo giovedì, non poteva non trascorrersi al Calmos Café: solita serata Salsa in compagnia di due amici parigini (la cui imitazione degli americani in spiaggia è esilarante), che si conclude alle 24,00 circa con il Planteur della staffa. Ciò che i nostri fegati hanno filtrato durante questo arco di tempo è un dettaglio non pubblicabile.

I nostri commensali, a cena, ci invitano a trascorrere la giornata successiva insieme a loro a Pinel e accettiamo volentieri. Ho la conferma che anche mia sorella può vantare di possedere più melanina di me: l’unica che riesce ad abbronzarsi, senza troppo arrossarsi al secondo giorno di Caraibi e senza una protezione – a mio avviso – abbastanza elevata. Fastidio…

La sera con Manuel (il nostro amichetto d’infanzia olandese arrivato la mattina), raggiungiamo Chris (lo skipper, rientrato qualche giorno fa da Cannes) allo Sky (terrazza con sabbia in cima a un palazzo nel cuore di Maho. Bel locale, non lo conoscevo. Ci penso ancora, mentre Cecilia è collassata nel letto da una mezz’ora dopo aver dichiarato “no, no, non dormo, controllo solo il cellulare”. La raggiungo, ma senza controllare il cellulare: crollo all’istante.

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Sky Lounge

Week #10 – esagerazioni

Il giovedì al Calmos Café c’è la serata Salsa. Un’avvenente cantante colombiana anima l’orda di clienti: il locale è pieno, lo staff e i tavoli al completo, un delirio. La corposa band che l’accompagna suona divinamente anche se sembra soffrire a causa dei limiti di spazio.

Io e Chris (l’ormai ex skipper del Tender To che mi parla ancora nonostante la serataccia che gli ho fatto passare in barca tempo fa – un signore) esageriamo con le tapas e pure con il rosé, ma tra poche ore è il suo compleanno e i festeggiamenti (anche anticipati) sono obbligatori. Esagerazioni e contraddizioni: generosissimi fanciulli che insistono per offrirti la serata e pagano il conto con una banconota da 500 euro (non ne avevo mai vista una prima che non fosse del Monopoli). Giovani rampolli svizzeri a cavallo di un Hummer che faticano a suscitare anche solo un minimo d’interesse per il livello dei loro discorsi. Poi nel parcheggio fregano lo scooter a un poveraccio che lavora 12 ore al giorno sette giorni su sette. Mi sembra tutto assurdo, po’ ingiusto e mi gira la testa.

Il giorno seguente a riso bollito e caffè. Ho passato la serata a guardarmi l’intero cofanetto dell’Era Glaciale con addosso un piagiama di Hello Kitty (personaggio che tra l’altro odio, ma è un regalo e il piagiama in sé è comodo). Forse avrei dovuto richiedere un TSO…

La mattina intorno alle 10 ricevo la telefonata di Frederique, proprietario del Enthnic Bar, risotorantino sula spiaggia in fondo a Orient Bay, che mi è stato presentato da un tizio (un drageur sulla sessantina) mezzo francese, con nonno italiano ma che vive per metà dell’anno a San Diego che a sua volta ho conosciuto a La Playa mentre mi scolavo un pina colada il giorno del mio compleanno. Per arrivare al dunque una persona dello staff dell’Ethnic si è ammalata e Fred mi chiede una mano per il pranzo. Ci vado al volo.

Il locale è piccolo, intimo coloratissimo e accogliente, non mancano lettini e ombrelloni davanti all’ingresso. È carino, diverte solo a guardarlo. In cucina lo staff è completamente femminile, per cui cerco di frequentarlo il meno possibile anche se la chef è simpatica e sembra in gamba.

Riesco a fare una clamorosa figura di cacca proprio con un cliente italiano che chiamerò Roberto perché a causa della mia scarsissima memoria a breve termine non mi ricordo come si chiami e trovo abbia la faccia da Roberto. Mi sento Pif nella parte conclusiva delle puntate de Il Testimone, quando parte con la sua personalissima morale dal periodo indefinito e contorto. Roberto ha lasciato l’Italia 15 anni fa, aveva un rock club sul Naviglio Grande e, considerato il fatto che ha i capelli più lunghi dei miei raccolti in una coda ed è coperto di tatuaggi improponibili non stento a crederlo. Da Gratosoglio in giro per il mondo, fino a St. Martin ove si accompagna a una biondissima e rincoglionitissima Madame in perizoma multicolor  che mi interroga su una parolaccia italiana che tanto la diverte ma di cui non si ricorda.

Dopo il lavoro non mi nego un paio d’ore di spiaggia, soddisfatta della prima parte della mia giornata e ansiosa all’idea di lavorare di nuovo all’Ethnic il giorno seguente.

La sera ricevo un invito per lo Shore, una discoteca a Simpson Bay in cui non sono mai stata. Pare che ci sia una serata imperdibile, ne dubito ma decido di andarci. Esageriamo, anche se l’indomani dovrò lavorare. Infilo il mio tubino ed esco, decisa a estendere il mio network di conoscenze. Perché volenti o nolenti, il successo di un’iniziativa dipende anche dalle persone che conosciamo vecchie o nuove e che riusciamo a fare lavorare/agire nel nostro interesse.

Week #6 – gold

È venerdì mattina e le crocchette di Tempo sono finite: ci ho messo 20 minuti buoni a trovare il veterinario a Grand-case, ma missione compiuta. Il meteo sembra promettere bene, mi fermo al villaggio per “provare” la spiaggia. È deserta, gli stabilimenti e i ristoranti sono chiusi (strano), ci sono solo io. In lontananza qualche “local” che porta a spasso il cane e i soliti crackman che vagabondano.

L’acqua è cristallo e in questa spiaggia – a differenza delle altre – diventa subito profonda, come piace a me. I gabbiani trovano rifugio sui tender legati alle boe che delimitano lo spazio per i bagnanti (non vorrei mai essere nei panni di coloro che ci dovranno salire successivamente). Passo il pomeriggio a guardare i bambini che si tuffano dal molo con un po’ di invidia.

Nel pomeriggio ricevo un invito per l’aperitivo, sul Tender To. È uno yacht di 30 piedi color oro – oro! – ormeggiato alla marina di Fort Saint Luis (a Marigot) dove spicca senza pudore tra le altre imbarcazioni. Mi fa venire in mente “Gold” degli Spandau Ballet (che poi ovviamente non riesco più a togliermi dalla testa). Gli interni sono tutti beige, candidi e sofisticati, tutto profuma di nuovo. I lavori di ristrutturazione sono ancora in corso, ma è già una meraviglia. Non voglio scendere! Non voglio scendere!

Scendiamo per la cena al Plongeur, proprio di fronte all’ingresso della marina. Serata piacevolissima, ma dopo la sambuca a fine cena inizio ad avere difficoltà, grosse difficoltà.

Il mattino seguente mi sveglio intorno alle 10 per il rumore dell’acqua che sbatte contro la parete della barca: barca??!! Mi sono sentita male ed evidentemente non era il caso che mi mettessi alla guida per tornare a casa. Quando realizzo di aver fatto passare a Chris – lo skipper – una serata indimenticabile (e non in senso positivo) la frase “che figura di merda!” inizia a ripetersi in loop nella mia testa, come a formare un vortice in cui non c’è spazio per altri pensieri.

Temo di aver perso il mio nuovo amico nel giro di due ore, record.

Il sabato trascorre in “fase ripiglio”, se dovessi descrivere la giornata in un tag twitter sarebbe: #mangiotuttoquelllochehonelfrigocompresiisurgelatigurdandofilmchenonriescoaseguire. Mi riprendo verso l’una di notte guardando CSI, anzi Les Experts (come si chiama in Francia).

La domenica vola, mentre sono spiaggiata a riva, qui a Orient Bay. Mi raggiunge un amico per fare una chiacchierata e bere una birra verso sera, mentre consultiamo siti di stazioni metereologiche per verificare la situazione delle correnti atlantiche in vista degli uragani di agosto. Nulla di allarmante per ora, almeno sembra.

Concludo la giornata al Calmos cafe: ci devo andare almeno una sera a settimana, ne sono ormai dipendente. Come è possibile innamorarsi così di un baracchino sulla spiaggia?! Come sempre qui trovo le condizioni ideali “buttare giù” qualche pensiero e produrre nuovi articoli, mi ispira…

Lunedì è l’Emancipation Day a St. Maarten, quindi festa per la parte olandese dell’isola: niente spesa tax free, ci penserò domani. Vado a trovare Jear a La Playa per fare due chiacchiere e godermi per un paio d’ore lo splendido sole. Peccato aver dimenticato di mettere la crema solare sulle braccia. Peccato. Vorrei staccarmele.

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Il Tender To

Day #25 – e acqua fu!

Non pensavo che tirare lo sciacquone un giorno mi avrebbe resa così felice. L’acqua è tornata e non vedo l’ora sia sera per potermi fare una lunghiiiisssima doccia post mare. Odoravo di cloro e liquido antialghe nei giorni scorsi, lavarsi in piscina non è il massimo della vita.

Niente gita alla scoperta di nuove spiagge oggi, devo pensare alla “sopravvivenza”, ovvero svuotare il lavello pieno di piatti e bicchieri sporchi, lavare una ventina di paia di mutande e altrettante t-shirt, non avendo più quasi nulla di pulito da indossare.

Vado a La Playa nel pomeriggio a leggere un po’, sono arrivata al punto cruciale di un romanzo e me lo mangerei. Potrei andare avanti a leggerlo tutta la giornata, senza fermarmi, senza mangiare, senza fumare, mi bastano una bottiglia d’acqua e la protezione 30 (ho ridotto lo schermo, l’abbronzatura è quasi degna di essere definita tale).

Ne approfitto per indagare, tramite Jear e il suo capo, se in qualche altra spiaggia sono alla ricerca di personale in questi giorni, sia per arrotondare, sia perché – prendetemi per pazza – non ce la faccio proprio a non lavorare! Mi faranno sapere (per esperienza questa frase non mi suona bene).

Oggi e domani a Grand-Case c’è la festa degli sport nautici, faccio un giro in serata per l’aperitivo. La baia ospita numerose imbarcazioni – più del solito – e qua e là c’è ancora qualche surfer che non si decide a mollare, nonostante il sole stia calando.

Una cosa non avevo notato prima: qui i gabbiani sono neri o grigi o, neri e grigi. Strano. Vicino al molo c’è un intero stormo: qualche turista si sta divertendo a dargli da mangiare, come gli orientali con i piccioni in Piazza San Marco. Turisti…

Sono seduta al Calmos Cafe, mi piace troppo questo posto (credo che lo staff interamente maschile contribuisca a farmelo apprezzare). Una signora americana palesemente ubriaca mi fa i complimenti per il mio rossetto. Non so se lo userò ancora…

Scrivo una parola e guardo le onde, scrivo un’altra parola e guardo il tramonto, continuo a scrivere e mi chiama mia sorella su Skype (questo articolo non lo finirò mai, penso). Quando finisco la skypata è buio e si vedono benissimo le luci dell’isola di Anguilla.

Non riesco a proseguire. Ho la mia Presidente (birra della Repubblica Dominicana senza troppe pretese, non di certo equiparabile a una doppio malto belga – la mia preferita – ma piacevole) in mano ed è un momento di pace assoluta, me lo devo godere. (Giuro che ne ho bevute solo due, di birre).

Day #6 – tipica domenica caraibica

Sveglia alle 7. Qui la giornata inizia presto e finisce presto, il sole scandisce il tempo. E’ incredibile come ci si possa adattare con tanta naturalezza ai ritmi del posto.

Caffè, rispondo a un paio di mail e approfitto dei compiti di Jules per fare un ripasso di geografia della Francia e un po’ di pratica con la lingua.

In spiaggia un biondissimo chitarrista rasta e un altrettanto bizzarro percussionista suonano chill out, animando il pranzo dei pochi ospiti presenti.

Trascorrono poche ore, tra una lettura e l’altra. La spiaggia inizia a svuotarsi, sono quasi le 4.

Mi viene offerto un cocktail alla fragola, segno che è quasi ora di rientrare a casa.

Doccia e piccolo tour a Gran Case. E’ la zona vicina all’aeroporto “L’espérance” (il peso del significato del nome è inversamente proporzionale alla lunghezza della pista di atterraggio), un’unica via con un “domino” di ristoranti, bar, locali su entrambi i lati. Tra questi il Calmos Cafe. I camerieri indossano T-Shirt con la scritta “C’est la vie”, che fanno venire voglia di scrollare le spalle per far fluire tutto il peso verso le caviglie solo a guardarle. Ne voglio una.

Dai tavolini, praticamente posti sul bagnasciuga si possono vedere le luci di Anguilla, lunga e piatta e, quelle delle barche non ancora rientrate in porto. E’ rilassante, come il “Bar chiuso…quando piove”, ma con la sabbia e le palme.

Una band suona pezzi noti, di ogni genere in chiave blues. Sulle note di “Ain’t no sunshine” a malincuore lascio quella meraviglia e si ritorna a casa.

Domani inizia la mia prima vera settimana come abitante dell’isola.

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Calmos Cafe – Grand Case