Week #6 – gold

È venerdì mattina e le crocchette di Tempo sono finite: ci ho messo 20 minuti buoni a trovare il veterinario a Grand-case, ma missione compiuta. Il meteo sembra promettere bene, mi fermo al villaggio per “provare” la spiaggia. È deserta, gli stabilimenti e i ristoranti sono chiusi (strano), ci sono solo io. In lontananza qualche “local” che porta a spasso il cane e i soliti crackman che vagabondano.

L’acqua è cristallo e in questa spiaggia – a differenza delle altre – diventa subito profonda, come piace a me. I gabbiani trovano rifugio sui tender legati alle boe che delimitano lo spazio per i bagnanti (non vorrei mai essere nei panni di coloro che ci dovranno salire successivamente). Passo il pomeriggio a guardare i bambini che si tuffano dal molo con un po’ di invidia.

Nel pomeriggio ricevo un invito per l’aperitivo, sul Tender To. È uno yacht di 30 piedi color oro – oro! – ormeggiato alla marina di Fort Saint Luis (a Marigot) dove spicca senza pudore tra le altre imbarcazioni. Mi fa venire in mente “Gold” degli Spandau Ballet (che poi ovviamente non riesco più a togliermi dalla testa). Gli interni sono tutti beige, candidi e sofisticati, tutto profuma di nuovo. I lavori di ristrutturazione sono ancora in corso, ma è già una meraviglia. Non voglio scendere! Non voglio scendere!

Scendiamo per la cena al Plongeur, proprio di fronte all’ingresso della marina. Serata piacevolissima, ma dopo la sambuca a fine cena inizio ad avere difficoltà, grosse difficoltà.

Il mattino seguente mi sveglio intorno alle 10 per il rumore dell’acqua che sbatte contro la parete della barca: barca??!! Mi sono sentita male ed evidentemente non era il caso che mi mettessi alla guida per tornare a casa. Quando realizzo di aver fatto passare a Chris – lo skipper – una serata indimenticabile (e non in senso positivo) la frase “che figura di merda!” inizia a ripetersi in loop nella mia testa, come a formare un vortice in cui non c’è spazio per altri pensieri.

Temo di aver perso il mio nuovo amico nel giro di due ore, record.

Il sabato trascorre in “fase ripiglio”, se dovessi descrivere la giornata in un tag twitter sarebbe: #mangiotuttoquelllochehonelfrigocompresiisurgelatigurdandofilmchenonriescoaseguire. Mi riprendo verso l’una di notte guardando CSI, anzi Les Experts (come si chiama in Francia).

La domenica vola, mentre sono spiaggiata a riva, qui a Orient Bay. Mi raggiunge un amico per fare una chiacchierata e bere una birra verso sera, mentre consultiamo siti di stazioni metereologiche per verificare la situazione delle correnti atlantiche in vista degli uragani di agosto. Nulla di allarmante per ora, almeno sembra.

Concludo la giornata al Calmos cafe: ci devo andare almeno una sera a settimana, ne sono ormai dipendente. Come è possibile innamorarsi così di un baracchino sulla spiaggia?! Come sempre qui trovo le condizioni ideali “buttare giù” qualche pensiero e produrre nuovi articoli, mi ispira…

Lunedì è l’Emancipation Day a St. Maarten, quindi festa per la parte olandese dell’isola: niente spesa tax free, ci penserò domani. Vado a trovare Jear a La Playa per fare due chiacchiere e godermi per un paio d’ore lo splendido sole. Peccato aver dimenticato di mettere la crema solare sulle braccia. Peccato. Vorrei staccarmele.

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Il Tender To

Day #29 – luoghi comuni

È come se avvertissi il cattivo tempo, fatico ad alzarmi dal letto. Apro le…definiamole “tapparelle a prova di uragano” (un sistema di protezione degli infissi in metallo che non avevo mai visto prima e che qui è molto comune) e vengono confermati i miei presentimenti: giornata grigia e piovosa.

Come impegnare meglio il tempo se non guardando un film dopo l’altro? Se avessi addosso una copertina, invece dell’aria condizionata accesa, sembrerebbe di stare a Masone. Perché a Masone piove sempre, o almeno così si dice. Luoghi comuni, come quello sull’utilizzo del clacson: lo detesto, mi disturba. Non lo uso mai, piuttosto impreco come un camionista. Potrebbe trattarsi tranquillamente di un optional che non sceglierei se dovessi acquistare un’auto e ovviamente se si trattasse di un optional.

Quando sono salita a Pic Paradis qualche tempo fa mi sono addirittura lamentata del fatto che l’auto dietro la mia clacsonasse di continuo. All’arrivo in cima alla collina, dopo aver spiegato questa mia avversione per il cacofonico autoaccessorio mi è stato detto: “Non esiste un italiano che non usi il clacson. Confessa, da dove vieni?”. La mia risatina di risposta celava un bonario “fottiti”. Temo di aver anche assunto la stessa espressione scocciata che hanno Tempo e Calypso quando capiscono che sto per accendere l’aspirapolvere, qualcosa che potrebbe esser tradotto in: “non bastava quella musica del cavolo che ci fa sentire a tutto volume dal mattino alla sera, pure l’aspirapolvere adesso!”.

Sempre in tema di luoghi comuni (mea culpa in questo caso), ogni volta che attraverso il Quartier d’Orleans – che si trova tra Orient Bay e il Dutch Quarter, appena prima del confine con la parte olandese – penso “sembra di essere a Napoli”, mentre osservo i ragazzini in motorino in due o tre rigorosamente senza casco che si divertono a fare le impennate in mezzo alla strada rallentando il traffico.

Ormai 10 anni fa, durante una vacanza-studio in Michigan, quando dichiaravo “sono italiana” la reazione era “ah! Italia: Pizza, Pavarotti, Fiat” (Fiat solo perché mi trovavo vicino a Detroit, altrimenti l’ultima parola sarebbe stata “Mafia” credo). Invece qui, quando dico che sono italiana, la reazione è: “ah, Italia: Materazzi!”. Porco giudello (come direbbe il mio amico Martin) sono passati sette anni (tra l’altro all’epoca stavo lavorando in un villaggio vacanze in Sicilia e dormivo sugli spalti dell’arena durante la partita – ero stanca e il calcio ha effetto soporifero su di me – così mi sono persa la scena), ma è possibile che i francesi ce l’abbiano ancora con Materazzi per l’espulsione di Zidane??!! Stanno messi male…

Sembra che nessuno possa fare a meno di tutta questa serie di pensieri e opinioni, condivisi e diffusi: “Piemontese, falso e cortese”, “Il nero sfina”, “A Latina sono tutti burini“, “L’assassino torna sempre sul luogo del delitto”, “Mollo tutto e scappo ai Caraibi”… Assiomi in cerca di conferme, che ci danno – in qualche modo – sicurezza o speranza: continuerò a vestirmi di nero.

Day #27 – labirintite caraibica

Alle 6 mi sveglio sentendo la televisione accesa trasmettere i cartoni animati. Nell’incoscienza del risveglio immagino sia Jules che è già in piedi. ALT, il nano è partito: panico.

Controllo, aprendo la porta, solo un sottile spiraglio. Tutto tranquillo. La gatta (maledetta) camminando sul tavolino del salotto ha dato una zampata al telecomando e acceso tv e home theatre, così coglie al balzo l’opportunità per entrare in camera e salire sul lettone, mentre spengo il tutto. Torno a dormire, è troppo presto.

Mi rianimo più tardi, e non faccio in tempo a farmi il caffè che parte la “protesta cibo” da parte dei miei pelosi coinquilini. Almeno il piede non duole più, quasi non ricordavo di essermi ferita.

È un’altra splendida giornata, che culo! Mi sarei aspettata il solito grigiore dopo tre giorni di sole.

Ho qualche faccenda da sbrigare, come capire perché sulla mia carta è stato accreditato due volte un pieno di benzina. Il gestore della stazione di servizio è cordiale, ma non sembra sostenere la mia versione, anzi incolpa la banca di un errore contabile. Risolverò anche questa…

Continuo il mio tour delle spiagge alla ricerca di un’occupazione occasionale, ma senza successo: troppi pochi turisti, troppo poco lavoro.

Con le pive nel sacco vado a La Playa a concludere il pomeriggio e il mio romanzo.

Mentre esco dall’acqua tenendo ben salda con le mani la parte inferiore del bikini e cercando di barcamenarmi tra le onde, penso: perché Halle Berry e ancor prima di lei Ursula Andress nelle vesti di Bond Girl riuscivano ad arrivare a riva fiere, sensualissime e con la stessa grazia di Venere nella sua conchiglia, mentre quando esco dall’acqua io sembro stata colpita da una labirintite fulminante??? Bisogna fare delle prove come quando si comprano scarpe nuove, con i tacchi alti ed è necessario portarle in casa per un po’? E’ una questione di concentrazione? C’è un trucchetto che non conosco, come guardare un punto fisso del terreno quando si cerca di restare in equilibrio su una gamba sola? Per ora do la colpa al fondale dissestato dalle onde, che verso riva formano come dei fossi (poco profondi), uno dopo l’altro, nella sabbia.

Torno a casa per la pisciatina pomeridiana di Tempo. Tirando le somme le frasi che pronuncio più spesso in questo periodo sono: “qu’est-ce que tu fait là?!”, “on va faire la pissette?”, “pas dans la chambre, dehors!” oltre agli imperativi “assis!” e “couché!”. Conversazioni impegnative.

Almeno il romanzo l’ho finito e ne ho iniziato un altro. È deciso: estate dedicata alla letteratura russa (forse ho preso troppo sole).

Day #8 – problemi e soluzioni

Mi rimangio tutto: ho problemi con la sveglia alle 6 del mattino!

Il tempo non è dei migliori, troppo caldo, troppo umido e nuvoloso. Poca voglia di fare.

Un caffè (orribile, non ne ho ancora bevuto uno decente) a Oyster Pond è quello che ci vuole. Oyster Pond è un piccolo villaggio affacciato su una marina. Uscendo dalla marina un enorme pappagallo dalla sua gabbia mi dice “bye, bye” e io gongolo come un bambino.

Faccio un giro con Tempo per la pisciatina mattutina. Le zecche (ci sono anche quelle) non gli danno tregua, povero!

Il pomeriggio si fanno i compiti. Continuo a non capire come ho fatto a laurearmi avendo difficoltà a risolvere problemi matematici da terza elementare: quanti mestoli di latte di capra al gusto ribes (gusto ribes poi…) Asterix deve usare per dissetare 160 gallici considerando che ogni tonnellata, bla, bla… Sono rimasta al gusto ribes.

Ho introdotto i Tanlines anche qui. Devo ammettere che in questa casa si ascolta ottima musica, fatico solo a sopportare i revival di Dalida che canta le canzoni di Mina. Mina non si tocca!

Ho scoperto anche un enorme capannone di bric à brac: cianfrusaglie, antiques e oggetti usati di vario genere. Uno di quei posti in cui vorresti comprare tutto (maledizione!).

Riordinare la stanza dei giochi con Jules significa che io riordino mentre lui mi elenca tutte le sue carte dei Pokémon: sono tre album, pieni.

La reputazione della cucina italiana mi costringe a spadellare: me la cavo con una carbonara dopo aver convinto Jules che diventerà sicuramente la sua pasta preferita. Se mi chiede un arrosto sono fregata.

Day #7 – il tempo

Vengo svegliata dal tintinnio del cucchiaio nella tazza del caffè. Sono le 6,30 e Jules è già immerso in una scodella di Nesquik, ipnotizzato da una versione cheap dei Power Rangers che stanno trasmettendo in TV. La colazione è lunga e rilassata. Fino a poco tempo fa entravo in cucina la mattina ed esordivo (omettendo il “buongiorno”) con “Merda! Sono di nuovo in ritardo!”, pronunciata masticando biscotti e succo di frutta insieme per ottimizzare i tempi.

Ieri mi hanno insegnato il proverbio francese “Tout le monde a l’heure, mais moi j’ai le temp” (tutti hanno l’ora, ma io ho il tempo): un invito a gestire i propri ritmi con lucidità, ma senza ansia, senza pressioni. Basta organizzarsi, tranquillamente. Vale ovunque, tranne in posta: le code e la lentezza degli impiegati sono ormai indubbiamente uno stereotipo internazionale.

E’ il giorno della disinfestazione: oggi, in casa, viene dichiarata guerra a scarafaggi e loro familiari. Nonostante mi stia abituando a orde d’insetti di vario genere, finalmente posso andare a letto più tranquilla, senza dover controllare che non abbiano fondato una colonia tra le lenzuola.

Piove. Qui piove anche se in cielo non c’è una nuvola, anche con il sole. Piove di colpo, quando meno te lo aspetti. Soprattutto quando hai appena finito di ungerti inutilmente di crema solare.

Uscire con quasi 35 gradi e l’umidità all’80% non è stata un’idea felice. Uscire con questa temperatura per giocare a tennis con un bambino di 8 anni ancora meno, ma grazie alla giovane età e alla poca tecnica del mio avversario ho finalmente capito cosa s’intende per “palle impossibili”.

Continuo a chiamare la gatta Cyclope, cazzarola.

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Molo – Philipsbourg