Week #32 – abbiamo fatto 31

E che 31! Mi fa strano anche il Capodanno qui, settimana assolutamente non convenzionale.

Sì perché con la scusa che mia mamma è venuta a trovarmi…pazza gioia!

Spiaggia, cene, festeggiamenti, spiaggia, shopping, pranzi da 5 ore con cubiste sui tavoli, spiaggia, foto, foto, foto…

Colpi di sole e di vento, foie gras (e il mio colesterolo ormai comincia ad alzarsi solo a pensare di tartinare), 6 temporali tropicali due giorni fa, l’alternanza con mezze giornate di sole pazzesco, rientri (miei) alle 6 del mattino con bruciatura di sigaretta vicino a un orecchio e male ai piedi inestimabile…la bilancia poi…

L’unico problema sono sempre – ma non si contano mai – i postumi da festeggiamenti dionisiaci: primo giorno di nuovo lavoro e dalle 9 a mezzogiorno ho bevuto 4 caffè, ma sono comunque riuscita a imbastire un superprogress di agenzia. “Mi pacco” sulla spalla.

Ritorno a una vita con orari civili, d’ufficio, anzi a una vita con orari. Negli ultimi mesi sono stati parecchio sballati per esigenze di lavoro soprattutto, ma non mi è mancato il tempo libero, molto tempo libero che ho impegnato nel blog, nel sistemarmi à St. Martin. Sperando sempre che qualcuno pagherà una mia ipotetica bassissima pensione, non rimpiango gli ultimi mesi di “fermo”, non potrei. Paradossalmente credo di non aver mai guadagnato tanto in vita mia prima in quanto a esperienze, occasioni, conoscenze, anche se è stato necessario darsi da fare parecchio.

“Sì credo di aver avuto una bella idea”. Disse mangiucchiandosi una madeline con pepite di cioccolato. E stanchissima, ma soddisfatta crollò sul divano rosso.

Taglio corto, ma in cambio offro (rari) contributi fotografici.

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Capodanno a Pic Paradis.

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Kokomo beach.

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Philipsburg.

Week #18 – la smetto con i titoli in latino

Promesso.

Oggi, miei cari ospiti parliamo di approcci, etero.

Caso 1.  Obiettivo: graziosa signorina castana, intorno ai 30 anni, abbronzata, dalla provenienza non facilmente identificabile, in costume e occhiali – lenti fotocromatiche: la bruttezza del nome, non propriamente sexy, corrisponde esattamente all’effetto donato al viso che porta tale montatura, ma c’è chi ama il macabro. Luogo: bar della spiaggia, pomeriggio. Soggetto: uomo sui 40, anonimo, ma indubbiamente francese, discretamente fisicato, in orripilante mutanda nera. Azione: offrire un’Orangina ordinata al barista dall’Obiettivo allo scopo di procedere con le presentazioni o almeno una breve parentesi meteo. Reazione dell’Obiettivo: ringraziare e congedarsi, non abbastanza in fretta dal restare intrappolata in una conversazione da ascensore bloccato, per mezz’ora. Sviluppo: era convinto che dall’accento fossi russa, mi ha chiesto se volevo andare a rinfrescarmi con lui in mare e ho risposto “no grazie, sto bene così” mentre stavo sudando come un’animale da soma su un Tolstoj; prima di andarsene mi ha buttato in borsa un biglietto con nome e numero di telefono, approfittando della mia assenza mentale pinzata da un casco a volume – come sempre – troppo elevato.

Caso 2.  Obiettivo: graziosa signorina castana, tra i 25 e i 30 anni, abbronzata, italiana, shorts e canotta bianchi, lungo gilet di lino blu, in vena di divertirsi. Luogo: bar sulla spiaggia, festa con dj, domenica sera. Soggetto: uomo di poco più di trent’anni, haitiano, alto, faccia da pirla ma buona, un mix tra 5 Cent e Jay-Z, ciabatta Nike con calzino bianco di spugna d’ordinanza.  Azione: avvicinarsi all’Obiettivo, strusciarsi nonostante tu ti allontani e chiedere se può baciarti. Reazione dell’Obiettivo: “no grazie, preferirei di no, ma apprezzo il pensiero.”. Mia nonna avrebbe saputo fare di meglio. Sviluppo: difficile capire se abbia attutito o meno il colpo; lo ritrovi ovunque e ti fa un sacco di domande “pour parler”, ogni volta, mentre tu fingi di non capire un po’ meno di quello che in realtà non capisci affatto.

Caso 3.  Obiettivo: graziosa signorina castana, trentenne, abbronzata, dalla provenienza non facilmente identificabile, lungo vestito a fiori verde acido, in vena di pr. Luogo: bar sulla spiaggia, festa con dj, altra domenica sera. Soggetto: uomo intorno ai 40, antillese, distinto ma rilassato, brizzolato. Azione: attaccare bottone e toccare di continuo il braccio dell’Obiettivo per assicurarsi che non scappi, finché non fingi di dover andare ad aiutare un’amica che ha bevuto troppo e ti precipiti a tirare su un’ubriaca a caso. Tentativo di riapprocciarsi qualche minuto dopo, danzando e ordinandomi un Planteur. Reazione dell’Obiettivo: ringraziare e guarda caso mi scappa una pipì pazzesca. Sviluppo: il Planteur era il quarto e ho fatto l’unica cosa che non si dovrebbe fare MAI. La mattina dopo alle 10 era lui, a chiamarmi per darmi il buongiorno. Inutile dire che non l’ho riconosciuto, ci ho messo un po’ a capire chi fosse e mi sono maledetta per l’intera giornata per avergli dato il mio numero di telefono.

Scrollo le spalle, sospiro e resta il fatto che è maggiore la percentuale di possibilità che un Matthew McConaughey con il fascino intellettuale di Ferruccio De Bortoli si presenti un giorno alla mia porta, piuttosto che quella di riuscire a “subire” un tentativo di approccio creativo, attento e intelligente da parte di un individuo di sesso maschile con la fedina penale e psichiatrica pulita. Almeno su quest’isola.

Week #10.1 – shore

Lo Shore è un posto assurdo: locale bellissimo, nuovissimo, “pettinatissimo” (altro termine che mi fa venire l’orticaria solo a pensarlo), come i circoli arci che ero solita frequentare insomma… Ragazze immagine, sfilata di non so quale boutique, champagne a fiumi. Mi guardo un po’ intorno e sono l’unica senza 15 cm di tacco, tanto vale approfittarne per togliersi anche i sandali. La vita da spiaggia ti porta a non sopportare le calzature ogni tanto, è come se ti soffocassero. Serata divertente nonostante non mi sentissi del tutto nel mio “habitat” e nuovi contatti ottenuti, obiettivo raggiunto. Ho anche conosciuto una serie di Italiani: pensavo che fossero pochi e rari sull’isola, invece sono solo concentrati nella parte olandese (che frequento di rado). Molti sono proprietari di casinò, altri hanno fiutato e seguito l’odore del denaro e, messo in piedi attività di vario genere soprattutto d’importazione.

Lascio la serata in anticipo (4 del mattino all’incirca), mi aspetta la sveglia che suonerà qualche ore più tardi e una mezza giornata decisamente faticosa all’Ethnic Bar. Pane e hummus (suinata pazzesca) come spuntino a un’imprecisata ora notturna mi hanno permesso di tracorre un breve sonno sereno.

Dopo il lavoro mi concedo una birra da decompressione a La Playa. Sono le 16,30, la giornata è praticamente finita, “c’est calm” come ripete Jear in tono quasi rassegnato e i miei piedi chiedono pietà: correre scalza sul legno per mezza giornata non è stata un’idea brillante, vorrei che si materializzasse una scatola di Compeed davanti ai miei occhi, sul bancone del bar.

Declino un invito per l’aperitivo a Maho Beach, con dispiacere perché sarebbe stata una degna conclusione del week end, ma fatico a camminare. La serata è stranamente senza vento e fresca, mai successo da quando sono arrivata. Io sono stranamente in vena di telegiornale, ma il mio interesse si spegne subito dopo l’intervista a un Papa Boy direttamente da Rio. Come può il Papa avere più fan e soprattutto fan più entusiasti di quelli dei Rolling Stones??

Inizio settimana all’insegna di ménages casalinghi in vista del rientro del padrone. Arnaud è arrivato giovedì dalla Francia con una carinissima amica fiamminga alla quale mi sto affezionando. E ricomincia la festa: venerdì giornata intera in spiaggia a Orient Bay con un gruppo di parigini. Sabato a Friar’s Bay, mi piace da morire, il pay off “ici tu es ailleurs” dice tutto. Niente onde, acqua limpidissima e pochi bagnanti. Il tizio che gestisce ombrelloni e sdraio indossa una maglietta giallo fosforescente con scritto “The king of the beach” e si fa chiamare come tale, sembra che nessuno conosca il suo nome.

Pensavo che lo stupore sarebbe calato con il tempo, ma anche dopo due mesi (mamma mia già due mesi!) questo posto non smette di sorprendermi e mi sento sempre più “de l’île”.

Week #9 – lotterie farm

Guarita dalle bolle, finisce la reclusione. L’invito per l’aperitivo diurno alla Lotterie Farm casca a pennello.

Non saprei come descrivere il luogo: è una sorta di oasi naturale che si trova sulla tortuosa strada per Pic Paradis (ove mi ostino a non usare il clacson, è più forte d me). Ci sono un ristorante e un lounge bar costruiti su una palafitta, per entrare è necessario attraversare una lunga rampa di legno. Continuano ad arrivare turisti che sembrano sponsorizzati dalla Quechua facendomi sentire alquanto inadeguata. Poi scopro che tale dress code è giustificato dalla presenza di un parco con tanto di percorso avventura. Mentre scendo verso la piscina immersa nel verde, all’urlo di Tarzan sfrecciano soggetti di vario genere imbragati, lungo una fune sospesa tra gli alberi, sembra divertente. Seguo il percorso delle palafitte, questa volta si tratta di piccoli salottini privati (tappezzati di blu, beige e verde, ti viene voglia di buttarti subito tra i cuscini solo a guardarli) che si possono affittare per la giornata e arrivo al luculliano aperitivo. Il perché continuino tutti a ripetere al cameriere che sono italiana e bevo come una spugna non l’ho capito, o almeno non capisco perchè le due affermazioni – per quanto vere – debbano essere connesse, una la conseguenza dell’altra. Sono incuriosita e sbircio in giro: mi accorgo che nella piscina si tuffa tra le rocce una piccola cascata e immagino che si tratti dell’acqua proveniente dalla sorgente di cui mi hanno parlato. Risalgo la “cascata” per arrivare alla fonte, ma non c’è nessuna sorgente, bensì un’altra palafitta privata che sovrasta due enormi Jacuzzi. Pas mal anche se mi aspettavo altro, ma mi confermano comunque l’esistenza della fonte, da qualche parte.

Abbandono l’aperitivo per fare un paio di commissioni tra Marigot e la parte olandese dell’isola. Qui, in una gioielleria/tabaccheria/negozio di liquori gestita da una famiglia pakistana, per qualche motivo racconto la storia della mia vita degli ultimi mesi al proprietario mentre cerca di vendermi degli orrendi orecchini che sostiene “spopolino” tra le turiste americane. Coprono tutto il padiglione auricolare, sono indescrivibili tanto sono brutti, così cerca di recuperare e mi propone una medaglietta incisa la mappa di St. Martin. Lo ringrazio e gli dico che non sono interessata, non rischio di perdermi (sono la solita stronza, lo so). Dopo essermi regalata un abito coloratissimo (bianco e nero) e stravagante (l’ennesimo tubino, sono incorreggibile), scappo a casa dove mi aspetta una nuova visita del tizio che pulisce la piscina e che ha qualche problema a rispondere al telefono (mi ha fatta diventare una stalker di segreterie). L’obiettivo è di far tornare la pozza d’acqua com’era prima in un paio di settimane, per due motivi: 1) sembra una laguna e al ritorno di Arnaud ambirei che fosse di nuovo balneabile; 2) tolgono l’acqua in continuazione per fare lavori alle condutture e devo pur potermi lavare in qualche modo. Lo stronzo ovviamente non si presenta, ne approfitto per andare a La Playa a salutare Jear e comunicare che sono viva. Lo staff non perde l’occasione di prendermi per in giro nel momento in cui giustifico la mia assenza per colpa della rosolia. Quanto mi è mancata la spiaggia!

Il giorno successivo è forzatamente dedicato al mare, così dopo aver trovato un’altra scolopendra (sembra ci sia un festival questa settimana) e aver raccolto un’infinità di pelo di Calypso dappertutto (com’è possibile che ne abbia ancora addosso non so) calzo le infradito e vado a “svenire” su una sdraio. C’è molto vento, caldo, sembra di stare sotto un phon, ma non è fastidioso, è piacevole, si sta una favola!

Ore 18,06, in Italia è già il 20 luglio, quindi il mio compleanno. Vado al Calmos Cafe e comincio le celebrazioni, gongolante all’idea di avere 6 ore in più per i festeggiamenti quest’anno (volendo giocare con il fuso orario). Planteur meritatissimo, non vorrei essere altrove in questo momento.

Il mio oroscopo consiglia di trascorrere la giornata al mare. Non starò di certo online ad attendere la notizia della nascita del royal baby…

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Lotterie Farm

Week #6 – gold

È venerdì mattina e le crocchette di Tempo sono finite: ci ho messo 20 minuti buoni a trovare il veterinario a Grand-case, ma missione compiuta. Il meteo sembra promettere bene, mi fermo al villaggio per “provare” la spiaggia. È deserta, gli stabilimenti e i ristoranti sono chiusi (strano), ci sono solo io. In lontananza qualche “local” che porta a spasso il cane e i soliti crackman che vagabondano.

L’acqua è cristallo e in questa spiaggia – a differenza delle altre – diventa subito profonda, come piace a me. I gabbiani trovano rifugio sui tender legati alle boe che delimitano lo spazio per i bagnanti (non vorrei mai essere nei panni di coloro che ci dovranno salire successivamente). Passo il pomeriggio a guardare i bambini che si tuffano dal molo con un po’ di invidia.

Nel pomeriggio ricevo un invito per l’aperitivo, sul Tender To. È uno yacht di 30 piedi color oro – oro! – ormeggiato alla marina di Fort Saint Luis (a Marigot) dove spicca senza pudore tra le altre imbarcazioni. Mi fa venire in mente “Gold” degli Spandau Ballet (che poi ovviamente non riesco più a togliermi dalla testa). Gli interni sono tutti beige, candidi e sofisticati, tutto profuma di nuovo. I lavori di ristrutturazione sono ancora in corso, ma è già una meraviglia. Non voglio scendere! Non voglio scendere!

Scendiamo per la cena al Plongeur, proprio di fronte all’ingresso della marina. Serata piacevolissima, ma dopo la sambuca a fine cena inizio ad avere difficoltà, grosse difficoltà.

Il mattino seguente mi sveglio intorno alle 10 per il rumore dell’acqua che sbatte contro la parete della barca: barca??!! Mi sono sentita male ed evidentemente non era il caso che mi mettessi alla guida per tornare a casa. Quando realizzo di aver fatto passare a Chris – lo skipper – una serata indimenticabile (e non in senso positivo) la frase “che figura di merda!” inizia a ripetersi in loop nella mia testa, come a formare un vortice in cui non c’è spazio per altri pensieri.

Temo di aver perso il mio nuovo amico nel giro di due ore, record.

Il sabato trascorre in “fase ripiglio”, se dovessi descrivere la giornata in un tag twitter sarebbe: #mangiotuttoquelllochehonelfrigocompresiisurgelatigurdandofilmchenonriescoaseguire. Mi riprendo verso l’una di notte guardando CSI, anzi Les Experts (come si chiama in Francia).

La domenica vola, mentre sono spiaggiata a riva, qui a Orient Bay. Mi raggiunge un amico per fare una chiacchierata e bere una birra verso sera, mentre consultiamo siti di stazioni metereologiche per verificare la situazione delle correnti atlantiche in vista degli uragani di agosto. Nulla di allarmante per ora, almeno sembra.

Concludo la giornata al Calmos cafe: ci devo andare almeno una sera a settimana, ne sono ormai dipendente. Come è possibile innamorarsi così di un baracchino sulla spiaggia?! Come sempre qui trovo le condizioni ideali “buttare giù” qualche pensiero e produrre nuovi articoli, mi ispira…

Lunedì è l’Emancipation Day a St. Maarten, quindi festa per la parte olandese dell’isola: niente spesa tax free, ci penserò domani. Vado a trovare Jear a La Playa per fare due chiacchiere e godermi per un paio d’ore lo splendido sole. Peccato aver dimenticato di mettere la crema solare sulle braccia. Peccato. Vorrei staccarmele.

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Il Tender To

Day #16 – el rayo de la muerte

Ieri pomeriggio ho ricevuto la mia seconda proposta di matrimonio da Dread’I un “artista” (si definisce) del reggae che transitava per la spiaggia cercando di vendere il proprio cd di successi (sostiene). Lo stereotipo del jamaicano con tanto di tradizionale cappello all’uncinetto, ovviamente rasta, mi arrivava più o meno all’ombelico. Insomma, faccio superconquiste. Prima di partire mi è stato detto “stai attenta, sei a rischio turismo sessuale”, ma a questo punto, visti gli elementi “rischiosi” credo di potermela cavare.

La prima proposta, per chi se lo stia domandando, è stata anni fa mentre ero in vacanza a Djerba: a mia madre avevano offerto dei cammelli, anche parecchi. Che fortunella.

Ieri sera ho visto “Fa la cosa sbagliata”. Oggi continuo a dire e scrivere “yo” come un’adolescente disadattata. Mi do quasi fastidio.

Mai quanto Jules quando parte con i sui discorsi infiniti, tipo “Une fois, quand j’etais petit…” (una volta, quando ero piccolo – perché adesso è grande…) e va avanti per mezz’ora a raccontare aneddoti pallosissimi. Ogni tanto faccio finta che parli da solo, senza ascoltarlo e al mio “pardon, parles tu avec moi?” (parli con me?), non osa ripetere. Scampata la filippica.

La mattinata parte con una piacevolissima “conference call” con i vecchi colleghi dell’agenzia, i quali si assicurano che non abbia ancora fatto fuori il gatto e che sia effettivamente alle Antille. Testimoniano le palme fuori dalla finestra della mia stanza.

A pranzo messicano: dal “Rancho del sol” in cima alla collina c’è una vista pazzesca del villaggio di Orient Bay fino al mare.

Oggi pomeriggio niente basket, inizia a piovere appena arrivati al campo, così ci si dirige direttamente al Calmos Café (che ogni volta mi fa ricordare “Caos calmo”, ora ditemi cosa ci azzecca Moretti con un bar sulla spiaggia). Jules e il suo amico in un attimo corrono verso il bagnasciuga e iniziano a giocare con la sabbia fino ad avere la brillante idea di iniziare a scavare un tunnel e impanarsi gli abiti da basket di sabbia come delle cotolette. All’ennesimo richiamo scatta l’urlo accompagnato da uno sguardo fulmineo, battezzato in precedenza “el rayo de la muerte”. Jules resta pietrificato e abbassa gli occhi, mentre il suo tenace amichetto è stato inevitabilmente trascinato per un braccio per mezza spiaggia. Ci so troppo fare con i bambini.

Day #3 – oggi faccio vacanza

Ormai anche Spotify mi parla in francese.

Nonostante i nuvoloni che non promettono nulla di buono, butto in borsa il Kindle e mi dirigo in spiaggia, oggi decisamente più affollata. Rifugiata sotto l’ombrellone inizio a leggere un paio di righe dei fratelli Karamazov (sì, devo ancora finirlo, da mesi). Le mie attività cognitive di base vengono risucchiate dalla risacca, incessante. Non riesco a non fissare il mare. Forse una particolare forma di autismo, forse d’ipnosi. Non sì può non notare che tutto qui ha i colori dei pastelli che usavamo da bambini, quelli della Giotto. Il mare è davvero verde acqua e la sabbia è davvero color sabbia.

Un brontolio allo stomaco mi risveglia dallo stato catatonico. Ordino Acran creoli a un baracchino gestito da Haitiani. Sono polpettine di pesce e verdure, piccanti, ovviamente fritte. (Mi manchi nonna! Pensami quando fai la salvia in pastella!)

Non poteva mancare il digestivo: shottini di daiquiri ai frutti tropicali e rum bianco gentilmente offerti dalla casa (ogni ora!).

Tutti i miei buoni propositi di assumere un regime alimentare decente stanno svanendo. Non potevo non capitare nella capitale gastronomica dei caraibi. Marci, hai ragione: il buon cibo è la nostra condanna!

Qui mi chiamano “Ciaobella”, anche il Jamaicano che mi ferma – mentre rientro dalla spiaggia – per vendermi del fumo: “parce que par votre sourire je vois que votre cœur est pur» (mi sembra un ottima motivazione commerciale). Che posto, assurdo.

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Spiaggia di Baie Rouge

Day #2 – se familiariser

Non avverto i postumi del jet lag. Comunicato al mondo che sono viva e vegeta, skypato con mamma, inizio a prendere confidenza con il posto: Jurassic Park. Qui le lucertole sono grosse quanto un mio piede (porto il 40,5) e in giardino brucano iguane verdi come la bile, enormi. Detesto i rettili, il tragitto dalla porta di casa al cancello potrebbe procurarmi un arresto cardiaco. Ma qui è così…

La spiaggia è bianca, deserta, se non fosse per una coppia di nudisti e una di Soliti Italioti: lei si lamenta con la frustrazione di una casalinga brianzola di una qualche cosa che lui ha DI NUOVO dimenticato e lui in silenzio annuisce. D’altronde siamo ai Caraibi, si può sopportare.

Nemmeno il primo giorno, cosparsa – anche sulle orecchie – di un consistente strato di protezione 50, vengo risparmiata dall’eritema solare. Prediligo altre bolle di solito, metodo classico.

Baie Rouge, Marigot, Orient Bay, Oyster Pond e il ghetto (sì perché gli abitanti stessi lo chiamano “il ghetto”). Mai visto ragazze di colore più belle. Dal Bronx isolano si passa ai centri commerciali in cui imperano i brand internazionali più noti. Che posto, strano. Eppure tutto questo susseguirsi di ville con piscina olimpionica, baracche e auto abbandonate, spiagge pazzesche, rasta clochard ubriachi che fanno l’autostop, pettinatissimi (termine orrendo) Yacht Club…è come se fosse un unico gomitolo, tinta unita. Qualcuno sostiene che sia “meglio un disordine ordinato, che un ordine disordinato”. A St. Martin è la regola, easy.

Spiaggia di Baie Rouge