Week #10.1 – shore

Lo Shore è un posto assurdo: locale bellissimo, nuovissimo, “pettinatissimo” (altro termine che mi fa venire l’orticaria solo a pensarlo), come i circoli arci che ero solita frequentare insomma… Ragazze immagine, sfilata di non so quale boutique, champagne a fiumi. Mi guardo un po’ intorno e sono l’unica senza 15 cm di tacco, tanto vale approfittarne per togliersi anche i sandali. La vita da spiaggia ti porta a non sopportare le calzature ogni tanto, è come se ti soffocassero. Serata divertente nonostante non mi sentissi del tutto nel mio “habitat” e nuovi contatti ottenuti, obiettivo raggiunto. Ho anche conosciuto una serie di Italiani: pensavo che fossero pochi e rari sull’isola, invece sono solo concentrati nella parte olandese (che frequento di rado). Molti sono proprietari di casinò, altri hanno fiutato e seguito l’odore del denaro e, messo in piedi attività di vario genere soprattutto d’importazione.

Lascio la serata in anticipo (4 del mattino all’incirca), mi aspetta la sveglia che suonerà qualche ore più tardi e una mezza giornata decisamente faticosa all’Ethnic Bar. Pane e hummus (suinata pazzesca) come spuntino a un’imprecisata ora notturna mi hanno permesso di tracorre un breve sonno sereno.

Dopo il lavoro mi concedo una birra da decompressione a La Playa. Sono le 16,30, la giornata è praticamente finita, “c’est calm” come ripete Jear in tono quasi rassegnato e i miei piedi chiedono pietà: correre scalza sul legno per mezza giornata non è stata un’idea brillante, vorrei che si materializzasse una scatola di Compeed davanti ai miei occhi, sul bancone del bar.

Declino un invito per l’aperitivo a Maho Beach, con dispiacere perché sarebbe stata una degna conclusione del week end, ma fatico a camminare. La serata è stranamente senza vento e fresca, mai successo da quando sono arrivata. Io sono stranamente in vena di telegiornale, ma il mio interesse si spegne subito dopo l’intervista a un Papa Boy direttamente da Rio. Come può il Papa avere più fan e soprattutto fan più entusiasti di quelli dei Rolling Stones??

Inizio settimana all’insegna di ménages casalinghi in vista del rientro del padrone. Arnaud è arrivato giovedì dalla Francia con una carinissima amica fiamminga alla quale mi sto affezionando. E ricomincia la festa: venerdì giornata intera in spiaggia a Orient Bay con un gruppo di parigini. Sabato a Friar’s Bay, mi piace da morire, il pay off “ici tu es ailleurs” dice tutto. Niente onde, acqua limpidissima e pochi bagnanti. Il tizio che gestisce ombrelloni e sdraio indossa una maglietta giallo fosforescente con scritto “The king of the beach” e si fa chiamare come tale, sembra che nessuno conosca il suo nome.

Pensavo che lo stupore sarebbe calato con il tempo, ma anche dopo due mesi (mamma mia già due mesi!) questo posto non smette di sorprendermi e mi sento sempre più “de l’île”.

Day #9 – pique nique

Considerando il titolo di questo post, come in ogni puntata della Ruota della Fortuna che si rispetti, ne approfitto per salutare gli amici di Picnic.

Installando lo scanner, questa mattina sono diventata ufficialmente il perito informatico di casa (io…ppffff!). Vinco un bicchiere di rosè.

La mattinata vola, nel frattempo spunta il sole e – essendo mercoledì – ci si organizza per il pique nique settimanale. Meta: Happy Bay.

Dal nome ho immaginato (non so perché) fosse una qualche americanata: errore. La spiaggia è lunga, non torppo ampia. Pochissimi turisti, in tutto non si superano le 20 persone. La si raggiunge tramite un sentiero, una mulattiera in mezzo alla vegetazione, partendo da Friar’s Bay. Al termine del percorso la sorpresa, la meraviglia, è bellissima.

Ci appostiamo all’ombra di una pianta tropicale, una mangrovia.

Tra gli scogli è pieno di ricci di mare, Jules me li mostra mentre rischio un attacco cardiaco ogni volta che lo vedo saltellare barcollando tra uno scoglio di pietra vulcanica e l’altro (e io lo devo seguire).

La sabbia è troppo fine, non si presta alla costruzione dei soliti castelli, perciò si ereggono totem con tutti i sassi piatti che si possano trovare sott’acqua e sulla spiaggia.

Chiedo a Jules di insegnarmi a lanciare le pietre sull’acqua facendole rimbalzare: quattro rimbalzi al primo colpo. Devo solo imparare a fischiare con le dita e poi è fatta, posso iscrivermi al CAI.

Arriviamo in ritardo alla lezione di basket. Mollato il nano nelle mani di una vecchia gloria dell’NBA, ci dirigiamo al Calmos Cafe per l’aperitivo. Le Planteur Antillais è un cocktail a base di rum e succo di frutti tropicali. Mentre beviamo, dal Winner Touch – l’enorme catamarano giallo che ospita gite giornaliere di turisti – si levano fischi da stadio: un natante con maschera, pinne e boccaglio si avvicina molto lentamente al molo, con uno stile improbabile, impedendo l’attracco dell’imbarcazione.

Arnaud, a cena, indossa una maglietta con scritto “Good guys go to heaven, bad guys go to Wikiki Beach”. Per non farmi sentire una perfetta troglodita, essendomi macchiata la T-Shirt come un neonato, Nono (Arnaud) prende il cucchiaio intriso di Green Curry Chicken e si schizza la maglietta, pure lui. Un folle, tenero gesto.

Immagine

Happy Bay