Day #2 – se familiariser

Non avverto i postumi del jet lag. Comunicato al mondo che sono viva e vegeta, skypato con mamma, inizio a prendere confidenza con il posto: Jurassic Park. Qui le lucertole sono grosse quanto un mio piede (porto il 40,5) e in giardino brucano iguane verdi come la bile, enormi. Detesto i rettili, il tragitto dalla porta di casa al cancello potrebbe procurarmi un arresto cardiaco. Ma qui è così…

La spiaggia è bianca, deserta, se non fosse per una coppia di nudisti e una di Soliti Italioti: lei si lamenta con la frustrazione di una casalinga brianzola di una qualche cosa che lui ha DI NUOVO dimenticato e lui in silenzio annuisce. D’altronde siamo ai Caraibi, si può sopportare.

Nemmeno il primo giorno, cosparsa – anche sulle orecchie – di un consistente strato di protezione 50, vengo risparmiata dall’eritema solare. Prediligo altre bolle di solito, metodo classico.

Baie Rouge, Marigot, Orient Bay, Oyster Pond e il ghetto (sì perché gli abitanti stessi lo chiamano “il ghetto”). Mai visto ragazze di colore più belle. Dal Bronx isolano si passa ai centri commerciali in cui imperano i brand internazionali più noti. Che posto, strano. Eppure tutto questo susseguirsi di ville con piscina olimpionica, baracche e auto abbandonate, spiagge pazzesche, rasta clochard ubriachi che fanno l’autostop, pettinatissimi (termine orrendo) Yacht Club…è come se fosse un unico gomitolo, tinta unita. Qualcuno sostiene che sia “meglio un disordine ordinato, che un ordine disordinato”. A St. Martin è la regola, easy.

Spiaggia di Baie Rouge