Ero in quinta liceo quando il mio professore di lettere, un giorno, mi chiese: “Credi nei segni? È importante credere nei segni, da capire, ma importante.”, o qualcosa del genere con il medesimo significato e intenzione, mentre si rollava una sigaretta di tabacco. Non ricordo quale marca di tabacco, ma aveva un aroma molto forte e mi sembra che la confezione fosse blu e arancione. Ricordo che non risposi alla domanda.
Nel periodo in cui ebbi l’idea di un “viaggetto” ai Caraibi, smanettando con Spotify incappai nei Temper Trap, precisamente in “Sweet Disposition” che conoscevo ma avevo rimosso… Notai anche la sponsorizzazione del loro ultimo album (che qui chiamano albùm e mi fa incazzare da morire – sono in fissa con il latino, temo) e tra le canzoni, a colpirmi particolarmente “This Isn’t Happiness” e “The Sea Is Calling”.
Parrallelamente crebbe la mia esaltazione per quest’album: “Tourist History” dei Two Door Cinema Club”.
Durante una serata sanmartinese (della quale credo di aver già raccontato) creai un piccolo ciclone casalingo durante il lavaggio della vaselleria guadagnando il soprannome di “Tsunami”. Un paio di giorni dopo scaricai l’album “Bistro Fada” di Stephane Wrembel che includeva il pezzo “Tsunami”.
Ora, può esistere una connessione così forte tra realtà, inconscio e musica (non necessariamente nella stessa posizione) e ammesso che siano questi gli elementi in ballo? O è semplicemente “il caso”? Capita anche con i film? O con i libri? Con questi ultimi mi piacerebbe, capitasse.
Quando ero bambina, non esisteva altro Dio all’infuori di me forchè Barbie, ma solo lei, niente sorelle, amiche, fidanzati (perché non venite a raccontarmi che ne avesse solo uno!). Sempre la stessa, bionda, solo una era più abbronzata delle altre. Lei e la punta di diamante della Barbie’s Real Estate: la casa con la terrazza e l’ascensore. E’ durata integra, perfetta e settimanalmente spolverata per un anno, non di più: mia sorella si è seduta sulla terrazza appena ha cominciato a camminare e non era leggera.
Questa estate, vent’anni dopo, sono uscita con un tizio che assomigliava terribilmente a Ken.
Un paio di settimane fa ho visitato uno studio in affitto, interessante e ho inviato il link dell’agenzia immobiliare a mia sorella per mostrarle la photogallery, mentre eravamo in chat:.
– “Ho deciso di prendere in affitto l’appartamento che ho visitato oggi. Ho fretta e sono stufa di vedere tuguri malconci, così ho optato per questo studio a Mont Vernon, il più “civile” che ho visto fin ora. Mi ci vedi in mezzo a tutto quel rosa? Appena entrata ho avuto un attacco di nausea.”
– “Ma no, dai…dopo qualche giorno ci si abitua a vivere nella casa della Barbie.”.
Geniale. Ho fatto i bagagli e mi ci sono trasferita a inizio di questa settimana.
M’inchino un’ennesima volta a Freud in questo ultimo caso, ma per il resto tutte le bizzare connessioni che percepiamo, realizziamo e che nel momento in cui vengono a galla disegnano sul nostro viso una smorfia che potremmo tradurre in “sono pazzo o mi sono perso qualcosa?”, vogliamo chiamarle “coincidenze”? Le coincidenze sono “one shot”, come definire invece una serie di eventi, di situazioni, di…cose preannunciate da altre (passate) beffandosi della nostra consapevolezza?
Li definirei banalmente “segni”: alcuni non sono così significativi da essere avvertiti, altri al contrario troppo pesanti, intrisi di significato e generatori di emozioni da non riuscire a capacitarsene, tanto da pensare – pur possedendo un potente superego – di essere parte di un piano soprannaturale.
Prof., dal giorno di quell’interrogazione ho iniziato a fare attenzione e a credere nei segni.