Week #38 – king and cross

In settimana mi è stato inviato il link al video di questa canzone.

 

Come spesso succede me ne innamoro, comincio ad ascoltarla in loop poi a interessarmi ad altri brani, magari dello stesso album. Se mi garbano scatto a scaricare l’edizione, ma talvolta mi scappa la mano e così ho iniziato a collezionare discografie.

Non è il caso di questo gruppo islandese, mi sono limitata all’ultimo album, “In the silence”. Davvero gradevole e “carezzevole” già dall’anteprima di iTunes. E così effettuo subito l’acquisto, senza pensarci, in un click e qualche euro in meno sulla carta  di credito, ma denaro ben speso, investito.

Mi sento meglio di quando spendo la stessa cifra in cioccolata o per acquistare il biglietto del ferry per Pinel. Mi sento ancor meglio ogni volta che ascolto e riascolto il mio acquisto. Trovo sia una forma di piacere che va ripagata.

Se lo meritano, i musicisti.  Le emozioni che le loro creazioni possono regalare o contribuire a vivere non sono quantificabili, non in 8,99€. a mio avviso. Che come genere di artisti possano piacere o meno… E sono contenta di aver ricompensato così l’ottimo lavoro di un po’ di persone.

Week #29 – l’essenziale

Solo questa sera (ahimé!) ho conosciuto “L’essentiel”. Un locale di Hope Estate, nascosto dietro i capannoni della zona commerciale, una sorta di Officine Sonore dei Caraibi.

Trascinata a forza da Marion (nuova conoscenza e presenza costante nelle mie giornate delle ultime settimane), dopo il solito babysitting del sabato sera e una tappa alla Table d’Antoine.

Lì, alla Table (di Antoine chi se ne frega perché qui tutti i bar, spiagge, ristoranti hanno nomi composti da due parole, ma se ne usa una sola e non credo sia un caso che i locali più quotati siano quelli con i nomi composti da una sola parola), sulla piazza del villaggio di BO si fanno nuovi e vecchi incontri, ma come se ci si conoscesse tutti da sempre. Tra le nuove conoscenze c’è Paps, senegalese, intorno alla cinquantina, in camicia, gilet, cappello di paglia e sandaloni, simpaticissimo.

Arrivati tutti a L’essentiel, ci stavamo bevendo una birra mentre una band che sembrava composta da surfisti, colletti bianchi in borghese e harleysti (o almeno io l’ho percepita come un’accozzaglia alla Full Monty) se la cavava niente male sfornando dei classiconi rock, quando Paps mi dice “mi annoio, vado a suonare un po’ di armonica”. Scende le scale, raggiunge il palco, si butta sul primo microfono disponibile, si posiziona tra i componenti della band e comincia a suonare l‘armonica. Come se fosse una cosa normale. Dopo l’intrusione di Paps la band ha smesso di stonare ha iniziato a seguire un tempo e credo che da stasera possa vantare il miglior assolo di armonica e di voce di tutta la propria storia. Da brivido.

Credo sia la persona con la cultura musicale più ampia che io abbia mai conosciuto. Mi ha cantato Celentano (tra l’altro personaggio parecchio discusso in questi giorni, ma non ho il coraggio di guardare nemmeno uno stralcio di programma) e l’immancabile Toto Cotugno: nella mia statistica il 90% di francesi e locali che ho conosciuto è in grado di intonare il ritornello de “L’italiano”. E’ da non credere. Mi sarei aspettata che conoscessero Mina, per la reinterpretazione di canzoni da parte di Dalidà; bisogna dire che anche Andrea Bocelli e quella piaga di Laura Pausini hanno un buon posizionamento, subito seguiti da Zucchero, che Radio Transat non manca di trasmettere almeno una volta al giorno. Vorrei vedere in faccia il dj…

Quanto ne sappiamo poco di musica mamma mia, servirebbe fare un giro del mondo con l’unico scopo di assorbirla tutta per riuscire a comprenderne solo un po’, sarebbe un bel viaggio. Domani vado a giocare all’EuroMillions.

 

La foto sotto non c’entra nulla, ma vi prego di contare gli Arbre Magique appesi, considerando che nella parte posteriore di questa navetta da 20 posti al massimo ce n’erano altrettanti. Sono viva per miracolo.

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Week #19 – segni

Ero in quinta liceo quando il mio professore di lettere, un giorno, mi chiese: “Credi nei segni? È importante credere nei segni, da capire, ma importante.”, o qualcosa del genere con il medesimo significato e intenzione, mentre si rollava una sigaretta di tabacco. Non ricordo quale marca di tabacco, ma aveva un aroma molto forte e mi sembra che la confezione fosse blu e arancione. Ricordo che non risposi alla domanda.

Nel periodo in cui ebbi l’idea di un “viaggetto” ai Caraibi, smanettando con Spotify incappai nei Temper Trap, precisamente in “Sweet Disposition” che conoscevo ma avevo rimosso… Notai anche la sponsorizzazione del loro ultimo album (che qui chiamano albùm e mi fa incazzare da morire – sono in fissa con il latino, temo) e tra le canzoni, a colpirmi particolarmente “This Isn’t Happiness” e “The Sea Is Calling”.

Parrallelamente crebbe la mia esaltazione per quest’album: “Tourist History” dei Two Door Cinema Club”.

Durante una serata sanmartinese (della quale credo di aver già raccontato) creai un piccolo ciclone casalingo durante il lavaggio della vaselleria guadagnando il soprannome di “Tsunami”. Un paio di giorni dopo scaricai l’album “Bistro Fada” di Stephane Wrembel che includeva il pezzo “Tsunami”.

Ora, può esistere una connessione così forte tra realtà, inconscio e musica (non necessariamente nella stessa posizione) e ammesso che siano questi gli elementi in ballo? O è semplicemente “il caso”? Capita anche con i film? O con i libri? Con questi ultimi mi piacerebbe, capitasse.

Quando ero bambina, non esisteva altro Dio all’infuori di me forchè Barbie, ma solo lei, niente sorelle, amiche, fidanzati (perché non venite a raccontarmi che ne avesse solo uno!). Sempre la stessa, bionda, solo una era più abbronzata delle altre. Lei e la punta di diamante della Barbie’s Real Estate: la casa con la terrazza e l’ascensore. E’ durata integra, perfetta e settimanalmente spolverata per un anno, non di più: mia sorella si è seduta sulla terrazza appena ha cominciato a camminare e non era leggera.

Questa estate, vent’anni dopo, sono uscita con un tizio che assomigliava terribilmente a Ken.

Un paio di settimane fa ho visitato uno studio in affitto, interessante e ho inviato il link dell’agenzia immobiliare a mia sorella per mostrarle la photogallery, mentre eravamo in chat:.

– “Ho deciso di prendere in affitto l’appartamento che ho visitato oggi. Ho fretta e sono stufa di vedere tuguri malconci, così ho optato per questo studio a Mont Vernon, il più “civile” che ho visto fin ora. Mi ci vedi in mezzo a tutto quel rosa? Appena entrata ho avuto un attacco di nausea.”

– “Ma no, dai…dopo qualche giorno ci si abitua a vivere nella casa della Barbie.”.

Geniale. Ho fatto i bagagli e mi ci sono trasferita a inizio di questa settimana.

M’inchino un’ennesima volta a Freud in questo ultimo caso, ma per il resto tutte le bizzare connessioni che percepiamo, realizziamo e che nel momento in cui vengono a galla disegnano sul nostro viso una smorfia che potremmo tradurre in “sono pazzo o mi sono perso qualcosa?”, vogliamo chiamarle “coincidenze”? Le coincidenze sono “one shot”, come definire invece una serie di eventi, di situazioni, di…cose preannunciate da altre (passate) beffandosi della nostra consapevolezza?

Li definirei banalmente “segni”: alcuni non sono così significativi da essere avvertiti, altri al contrario troppo pesanti, intrisi di significato e generatori di emozioni da non riuscire a capacitarsene, tanto da pensare – pur possedendo un potente superego – di essere parte di un piano soprannaturale.

Prof., dal giorno di quell’interrogazione ho iniziato a fare attenzione e a credere nei segni.

Day #11 – l’orage non è un frutto

Memo: mai farsi aggiustare il vetro dell’iPhone dai cinesi di Via Paolo Sarpi se si ha in previsione una gita al mare. Sotto lo schermo si è creata una piccola spiaggia. Speravo fosse una svista causata dalle lenti dei miei occhiali, perennemente sporche. Da quando ero bambina vedo attraverso una patina opaca e non c’è verso di farmi passare questo viziaccio.

Si esce per una passeggiatina lungo la spiaggia, non sono nemmeno le 8, è ancora deserta. Qualche fisicatissimo bagnino di colore inizia a posizionare i lettini in prossimità del bagnasciuga. Dovrei passeggiare più spesso.

Arnaud mi fa notare una strana nebbiolina in lontananza, sull’acqua, in prossimità dell’isoletta di Green Cay. Non è nebbia, è un piccolo temporale tropicale in arrivo. E’ complicato descrivere il fenomeno: con estrema velocità la coltre di “nebbia” sull’acqua si estende fino a fare sparire l’orizzonte e si avvicina a noi. Il mare si fa scuro, coperto da un grosso nuvolone grigio, compatto. Mi dicono di correre a riparo. Nemmeno il tempo di rifugiarsi sotto il pergolato del bar di Kakao Beach e inizia a piovere insistentemente. Non si può fare altro che attendere che smetta e riprendere la via di casa attraversando i dehor degli stabilimenti balneari.

In casa la TV è costantemente sintonizzata sui match del Roland Garros. Arnaud impazzisce per la Sharapova, io la prenderei a ceffoni clamorosi ogni volta che fa uno dei suoi celebri urletti.

La serata, subito dopo la cena da “Antonio Pizza” (pizza buonissima tra l’altro), evolve in “favourite playlist night”. Da Brian Eno ai Daft Punk, dai Chairlift ad Astor Piazzolla, da Paul Kalkbrenner a Lucio Battisti, da Jacques Brel a Snap…. La musica che ci piace, ci piace perché corrisponde a un nostro particolare mood, alle nostre emozioni. Quando sono contrariata ascolto “Grace” di Jeff Buckley. Quando sono di buon umore i Two Door Cinema Club, l’album “Turist History“ (ultimamente). Quando penso a qualcuno in particolare “Sex is on fire” dei Kings of Lion.

Arnaud mi dice di aver capito molto del mio carattere dopo questa serata musicale, molto più di quanto abbia potuto comprendere in tutta la settimana. Ho l’8% di batteria carica e mi sto scervellando per trovare una conclusione dignitosa a questo post, ma non ci riesco. Posso solo consigliare quello che sto per fare: andare a letto dopo aver attivato l’app di composizione musicale Bloom in modalità “ascolto”. Buonanotte.

Day #8 – problemi e soluzioni

Mi rimangio tutto: ho problemi con la sveglia alle 6 del mattino!

Il tempo non è dei migliori, troppo caldo, troppo umido e nuvoloso. Poca voglia di fare.

Un caffè (orribile, non ne ho ancora bevuto uno decente) a Oyster Pond è quello che ci vuole. Oyster Pond è un piccolo villaggio affacciato su una marina. Uscendo dalla marina un enorme pappagallo dalla sua gabbia mi dice “bye, bye” e io gongolo come un bambino.

Faccio un giro con Tempo per la pisciatina mattutina. Le zecche (ci sono anche quelle) non gli danno tregua, povero!

Il pomeriggio si fanno i compiti. Continuo a non capire come ho fatto a laurearmi avendo difficoltà a risolvere problemi matematici da terza elementare: quanti mestoli di latte di capra al gusto ribes (gusto ribes poi…) Asterix deve usare per dissetare 160 gallici considerando che ogni tonnellata, bla, bla… Sono rimasta al gusto ribes.

Ho introdotto i Tanlines anche qui. Devo ammettere che in questa casa si ascolta ottima musica, fatico solo a sopportare i revival di Dalida che canta le canzoni di Mina. Mina non si tocca!

Ho scoperto anche un enorme capannone di bric à brac: cianfrusaglie, antiques e oggetti usati di vario genere. Uno di quei posti in cui vorresti comprare tutto (maledizione!).

Riordinare la stanza dei giochi con Jules significa che io riordino mentre lui mi elenca tutte le sue carte dei Pokémon: sono tre album, pieni.

La reputazione della cucina italiana mi costringe a spadellare: me la cavo con una carbonara dopo aver convinto Jules che diventerà sicuramente la sua pasta preferita. Se mi chiede un arrosto sono fregata.