Anche oggi non è giornata da spiaggia, né da bucato.
Salto sul fuoristrada e vado a fare un giro a Philipsbourg, così posso approfittarne per fare la spesa. Hanno tolto l’acqua corrente (credo per dei lavori alle tubature) e siccome non si può mai sapere quando tornerà meglio fare scorta di bottiglie.
Non amo molto i supermercati cerco di restarci sempre il tempo strettamente necessario per gli acquisti indispensabili. Li frequento per necessità, è un po’ come andare dal dentista per me.
Le Gran Marché però è un’altra cosa: c’è tutto, tutto quello che puoi desiderare. Soprattutto loro: gli Australian Gold. Uno scaffale intero di meravigliosi prodotti solari che in Italia sono difficilmente reperibili e ti fanno pagare a peso d’oro. M’illumino, devo comprare un flacone.
Il reparto pane e dolci non sto nemmeno a descriverlo. I francesi sono un passo e un panetto di burro avanti in quanto a prodotti da forno.
Finisco di perlustrare tutti i corridoi fino a quello dei vini, l’ultimo. C’è uno spazio dedicato ai vini Italiani e se non fossi nella mia “settimana detox” quel Gavi di Pio Cesare 2008 non l’avrei di certo lasciato lì.
Concludo in bellezza infilando nel carrello Vanity Fair: sono proprio alla svolta, non compravo una rivista femminile da mesi. Al massimo mi sono concessa il Corriere con l’inserto del sabato per fare trascorrere quel paio d’ore di viaggio in treno il sabato mattina, ritornando a casa da Milano.
La cosa meravigliosa di questo supermercato è che i fattorini, oltre a riempirti le borse alla cassa, caricano il carrello e lo conducono fino alla macchina, mettendo poi tutta la spesa nel bagagliaio. Mancia dovuta!
Riprendo il tour e dalla zona commerciale di Philipsbourg finisco (per sbaglio) nell’entroterra, a St. Peters. È un paesino grazioso, di fitte villette color pastello, una diversa dall’altra. Non è da immaginare come un classico villaggio americano degli anni ’50 (anche se qui tutto ha un’aria molto statunitense, soprattutto nella parte olandese dell’isola), curato e con i vasi fioriti sui davanzali delle finestre. Qui è tutto un po’…sciupato, imperfetto. Le abitazioni mostrano le cicatrici lasciate dal passaggio degli uragani. Un po’ per mancanza di denaro (non è da tutti potersi permettere di ricostruire o aggiustare la propria casa in media ogni 2-3 anni), un po’ per una carenza di attenzione all’architettura, le cittadine tendono ad essere nel complesso trasandate: sono come una bella donna vestita e acconciata di tutto punto, ma con il rossetto sui denti e le scarpe non lucidate.
Torno sulla strada verso casa, passando da Marigot. Dopo una coda di mezz’ora, giunta quasi alle porte della città, compare un grosso cartellone giallo che indica dei lavori in corso e un’unica via percorribile (ma non potevano segnalarlo prima!!). La mia pazienza ha un limite, anche ai Caraibi. Faccio inversione percorrendo mezza rotatoria al contrario (inizio anch’io a guidare come i peggiori cani stando qui) e torno indietro passando dall’aeroporto, anche se questo implica allungare il tragitto.
30 km, un’ora e una quarantina di dossi dopo arrivo finalmente a casa: manca ancora l’acqua, porc…
E’ la regola, no? Appena arrivata a casa dal supermercato ti rendi conto che hai dimenticato qualcosa, ovvio.
no, manca l’acqua corrente…peggio ancora!