Day #28 – sogni da pendolari

Ieri notte ho sognato di tornare a casa (in Monferrato) per il week end, dalle Antille. Il viaggio era stato breve e non avvertivo jet lag.

È sabato mattina a Casale Monferrato e giro il mercato di Piazza Castello in bicicletta (anche se il mercato è il venerdì e non io ho una bicicletta) incontrando un giornalista del bisettimanale locale e altri visi conosciuti, che però non riesco a identificare. Sembra autunno, la mattinata è soleggiata, ma io indosso abiti troppo leggeri sotto il mio doppio petto blu di cotone da Capitan Findus. Chiacchiero qua e là con tutti quelli che si fermano per i saluti, i soliti convenevoli: “Come stai?”, “Bene e tu, come va?”, “…a casa tutti bene, grazie, te li saluterò”, bla, bla, bla…

Poi, la domenica pomeriggio prendo il mio trolley rosso, lo riempio di vestiti puliti e stirati e me ne torno a St. Martin, la sera. Anche il viaggio di ritorno sembra durare un paio d’ore al massimo.

Nessun contenuto manifesto del sogno rispetto a quello che può essere accaduto da quel sabato mattina fino al momento di ripartire.

Se dovessi immaginarmelo sarebbe andata così: dopo il tour del mercato, passo dall’ottico accanto al Duomo per ritirare le lenti a contatto (cosa che realmente non sono riuscita a fare prima della partenza, essendo arrivate il giorno successivo) e attraversata Via Roma faccio un salto da “Gusto” (“Il posto giusto” – gastronomia) a salutare la famiglia Re e bermi un prosecchino seguendo poco attentamente la descrizione del grana di bufala, che sto assaggiando, da parte del loquace zio Vittorio.

Torno a casa per il pranzo. La nonna ha fatto in casa i pansotti liguri, affogati nel sugo di noci. M’ingozzo fino a una crisi iperglicemica.

Dopo pranzo vado a Sala a salutare Mario, intento – nella sua falegnameria – a perfezionare una copia del comodino che Hemingway aveva nella sua casa di Cuba (destinato a me). Lo interrompo per un caffè.

Rientro a casa e dopo aver dato una sistemata all’armadio (in cui tutti gli abiti sono – e devono essere sempre – ordinati secondo forma e colore per una mia perversa fissazione), scattano i messaggi di gruppo per organizzare la serata. Sono costretta a rifiutare l’ennesimo invito di mio cugino Sandro alla serata “Avanzi di balera” a Torino, essendo il week end una “toccata e fuga”.

Raggiungo le mie amiche che definisco sempre “di adolescenza” (perché per noi quel periodo non è mai finito, quando siamo insieme torniamo a essere sceme come all’epoca) al bar San Carlo, dove mi basta un cenno a Totò (lo storico barista con una passione sfrenata per il Pastis) per avere il mio Spritz con la China Martini.

Dopo, servono solo pochi passi per raggiungere l’appartamento di Adi, in un palazzo antico del centro storico. L’atrio odora sempre di cera per mobili e di polvere. I quattro piani di scale a piedi fino alla mansarda fanno sì che chiunque non abbia un’adeguata preparazione atletica arrivi già assetato e col fiatone, soprattutto se salendo si è trasportato il vino per la luculliana cena con la solita fedele compagnia.

Armati di tessera Arci si va a Vercelli (o Vercity per chi preferisse). Alle Officine Sonore suona un gruppo rock, più che altro fa rumore ma per fortuna il “concerto” è quasi al termine e parte, dopo qualche minuto, il dj set di The Professionals. Qualche birra più tardi (poche in vista del rientro a casa e sempre nella speranza di non incontrare posti di blocco), sudati per aver saltellato tutta la sera sulle note di Elvis, torniamo verso Casale e ci riaccompagnamo alle rispettive auto parcheggiate in Piazza.

La domenica mattina al risveglio, intorno a mezzogiorno, le orecchie fischiano ancora. Pranzo con la famiglia, un pochino di relax divano-tv e ci si prepara a ripartire. Mia sorella in direzione Torino, io in direzione Mila… No, Caraibi.

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