Week #30 – letterina

Come per tradizione della terza rete nazionale anche quest’anno sta per arrivare il momento della “letterina a Babbo Natale” di Luciana Littizzetto a “Che tempo che fa”, appuntamento imperdibile delle mie domenica sera che precedono il Natale.

L’anno scorso, in un apocalittico scenario casalingo prenatalizio, ben allungata sul divano sotto strati di pile decennale, tazzona di tisana e capello un po’ unto e raccolto, già durante l’intervista a un meraviglioso – come sempre – Corrado Augias mi stavo pregustando la parte finale del programma.

La mia compare sabauda entra in scena e dalle battute sulle profezie Maya che “sono come le promesse di Berlu” e alcuni commenti su improbabile Dal(ail)ema appena intervistato, il monologo si sviluppa in una serie di battute “affettanti”, breve panoramica del (pessimo) recente vissuto del nostro Paese e delle sue brutture. Per fortuna la profezia Maya non si è avverata, avendo appena pagato l’imu sarebbe stato un peccato se fossero state rase al suolo tutte le case è la morale di Luciana. Dopo Monti che “dice messa” come il Papa e un’immancabile siparietto di critica al sesso maschile riguardo la costruzione di presepi “alla Fuksas” parte l’elencazione dei desideri (un estratto):

Caro Babbo Natale, porta dei bimbi nuovi al panettone Bauli che son sempre gli stessi da vent’anni; porta Berlu qui da noi, visto che è andato ospite dappertutto tranne che a S.O.S. Tata, altrimenti sarebbe finita male; fa ricominciare a mangiare Pannella che così magro e con i capelli lunghi sembra Gandalf del Signore degli Anelli; manda a Renzi la foto del Trota così capisce che anche tra i giovani si trova roba da rottamare; dai un bacio a La Russa e digli che è da parte di Gasparri, così si menano.

Poi la parte più bella: “è già che ci sei dì a Tiziano Ferro che l’amore non è una cosa semplice! (…) La bici senza cambio è una cosa semplice, le torte in scatola della Cameo sono cose semplici, il velcro sulle scarpe è una cosa semplice, L’more no. L’amore è un puttanaio mai più finito, è un guazzabuglio che ci rende prima pirla e felici e, subito dopo pirla e disperati.”

In attesa di scoprire cosa riserberà la letterina di quest’anno, dovrei impegnarmi nel cercare di realizzare che la prossima settimana sarà Natale. Non ci arrivo. Questo preciso momento sembrerebbe una nottata piemontese di giugno se non si facesse caso alle ghirlande appese alle porte delle abitazioni: ventilata, fresca, senza troppe zanzare. Non ci facciamo mancare una pioggerellina e si può godere del canto degli insetti notturni e del suono del vento tra le palme.

Una cosa non è cambiata rispetto alle passate edizioni: partire con l’intenzione di fare regali di Natale e tornare a casa con regali per me stessa. Sono ormai convinta che potremmo essere i migliori Babbi Natale di noi stessi se ci conoscessimo abbastanza bene. E se già ci conosciamo abbastanza bene da sapere cosa vorremmo davvero si realizzasse, perché non scriverci una letterina? Tanto per razionalizzare…chissà che qualcuno non mi raggiunga alle Antille!

Week #29 – l’essenziale

Solo questa sera (ahimé!) ho conosciuto “L’essentiel”. Un locale di Hope Estate, nascosto dietro i capannoni della zona commerciale, una sorta di Officine Sonore dei Caraibi.

Trascinata a forza da Marion (nuova conoscenza e presenza costante nelle mie giornate delle ultime settimane), dopo il solito babysitting del sabato sera e una tappa alla Table d’Antoine.

Lì, alla Table (di Antoine chi se ne frega perché qui tutti i bar, spiagge, ristoranti hanno nomi composti da due parole, ma se ne usa una sola e non credo sia un caso che i locali più quotati siano quelli con i nomi composti da una sola parola), sulla piazza del villaggio di BO si fanno nuovi e vecchi incontri, ma come se ci si conoscesse tutti da sempre. Tra le nuove conoscenze c’è Paps, senegalese, intorno alla cinquantina, in camicia, gilet, cappello di paglia e sandaloni, simpaticissimo.

Arrivati tutti a L’essentiel, ci stavamo bevendo una birra mentre una band che sembrava composta da surfisti, colletti bianchi in borghese e harleysti (o almeno io l’ho percepita come un’accozzaglia alla Full Monty) se la cavava niente male sfornando dei classiconi rock, quando Paps mi dice “mi annoio, vado a suonare un po’ di armonica”. Scende le scale, raggiunge il palco, si butta sul primo microfono disponibile, si posiziona tra i componenti della band e comincia a suonare l‘armonica. Come se fosse una cosa normale. Dopo l’intrusione di Paps la band ha smesso di stonare ha iniziato a seguire un tempo e credo che da stasera possa vantare il miglior assolo di armonica e di voce di tutta la propria storia. Da brivido.

Credo sia la persona con la cultura musicale più ampia che io abbia mai conosciuto. Mi ha cantato Celentano (tra l’altro personaggio parecchio discusso in questi giorni, ma non ho il coraggio di guardare nemmeno uno stralcio di programma) e l’immancabile Toto Cotugno: nella mia statistica il 90% di francesi e locali che ho conosciuto è in grado di intonare il ritornello de “L’italiano”. E’ da non credere. Mi sarei aspettata che conoscessero Mina, per la reinterpretazione di canzoni da parte di Dalidà; bisogna dire che anche Andrea Bocelli e quella piaga di Laura Pausini hanno un buon posizionamento, subito seguiti da Zucchero, che Radio Transat non manca di trasmettere almeno una volta al giorno. Vorrei vedere in faccia il dj…

Quanto ne sappiamo poco di musica mamma mia, servirebbe fare un giro del mondo con l’unico scopo di assorbirla tutta per riuscire a comprenderne solo un po’, sarebbe un bel viaggio. Domani vado a giocare all’EuroMillions.

 

La foto sotto non c’entra nulla, ma vi prego di contare gli Arbre Magique appesi, considerando che nella parte posteriore di questa navetta da 20 posti al massimo ce n’erano altrettanti. Sono viva per miracolo.

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Week #28 – parole importanti

Sono le due passate del mattino di giovedì e ho trascorso gli ultimi istanti della serata a cercare un dente in un parcheggio. Torno a casa, stravolta, con la mia “nuova” Clio con la frizione più lunga che si possa immaginare e non esito a fare il check pre-sonno di mail, Skype, Fb e messaggi vari. E mi capita di vedere il post di questo articolo, che comincia con “Le parole sono importanti”.

“Parole importanti” di Richard Scarry era il mio libro preferito da bambina. Credo sia rimasto nella casa di Champoluc in cui andavamo d’estate, insieme al mio fischietto a forma di Albatros (perchè io avessi un fischietto a forma di Albatros resta un mistero). Mi ricordo ancora mia mamma che mi leggeva il libro a partire dalla copertina, dal nome dell’autore per non farmi perdere nessuna informazione, come se impersonasse una sorta di fatina dedita alla sacra preservazione della “cultura del libro”. Non mi ricordo quali fossero le parole importanti, ma quanto era tenero Zigo-zago??? Con la su scarpina da tennis e il cappello da alpino… Poi come al solito ci hanno fatto anche i cartoni animati, che ne hanno rovinato tutta la magina, solo per aver dato una voce ai personaggi.

“Le parole sono importanti, diceva Moretti.”. Verità assoluta. Dopo aver cercato di dissipare un inutile battibecco tra cliente e cassiere in un bar mi sono resa conto di quando ogni parola comunichiamo, il suo peso in relazione alla frase e alla sua costruzione possano essere fondamentali, tanto da poter determinare quasi da subito l’esito di un confronto. Basta l’errore o una scarsa propensione al buon dialogo di uno degli interlocutori ed è inevitabile un prolungamento della discussione piuttosto che il “deragliamento” in polemica, in disputa inutile.

Le parole che usiamo ci descrivono, come le usiamo ancora di più. Ogni sfumatura ha il suo peso. Non mi trovo del tutto d’accordo con la classifica dei riempitivi più utilizzati proposti dall’articolo di Oltreuomo: appoggio le critiche a “Praticamente” e “Onestamente” (gli avverbi che finiscono in “mente” mi infastidiscono in generale). “Quant’altro” e “Nel senso” li trovo ancora accettabili, sono – come dicevo – una sfumatura che permette di aiutare a delineare il profilo del nostro interlocutore. Molto interessante il paragrafo del “Tanta roba”, ci rifletterò mentre ascolto questa. Tanta roba!!!

Week #27 – dalla stalla alle stelle

Dicesi “situazione di stalla” quella in cui – come buoi e mucche – si resta per la maggior parte del tempo con l’espressione un po’ inebetita e malinconica, ruminando come se non ci fosse un domani (e circondati da un sacco di cacca fastidiosa), nell’attesa di venire macellati oppure premiati come Bue Grasso Razza Piemonte 2014.

Periodo d’incertezza, situazione un po’ instabile con molte prospettive, qualche possibilità, tanti impedimenti e alcune delusioni. Ruminare pensieri camminando sulla spiaggia a passo spedito e al ritmo di un mix electropop aiuta a concimare progressivamente l’umore. Endorfine, ma mi piace pensare che sia l’atmosfera a darmi davvero energia: ormai anche le palme sono avvolte dalle luminarie di Natale e nell’ombelico di Maho spicca una sorta di Rockefeller Center Christmas Three Junior. Stranita, non ho la sensazione che stia per arrivare il Natale (è come se mi fossi fermata ad agosto in quanto a stagioni), piuttosto quella che stia per succedere qualcosa di bizzarro o di inaspettato, che forse non sarà un periodo semplice, ma che porterà del buono in ogni caso.

In settimana ho anche scoperto questa canzone, “Happy” ed è diventata come una sorta di colonna sonora quotidiana indispensabile, un po’ come lavarsi i denti mattino, pomeriggio e sera. Ormai mi fido più di Pharrel Williams che di Paolo Fox, nonostante la lettura dell’oroscopo sia un’abitudine consolidata da tempo. Bisogna ammettere che ci ha visto giusto il Paolone nazionale quest’anno, peccato che negli ultimi tempi sembra abbia perso un po’ la bussola, pure lui.

Corsi e ricorsi storici diceva Vico. Questo periodo ogni anno si ripresenta più o meno allo stesso modo: cambiamenti, scelte importanti e situazioni intricate (‘na “botta di culo” MAI), dispendio di energie pazzesco e tutto intorno buona parte del creato si comporta come se stesse per finire il mondo, ma è solo un altro Natale… Il primo, per me, lontano dalla famiglia e dagli affetti.

Mi è venuta voglia di tornare a casa un paio di giorni fa a causa un po’ di malmostaggine incrementata dall’indelicatezza di mio padre nel mostrarmi una scatola piena di tartufi bianchi durante una videochiamata via Skype. Ci andrebbero a nozze con una bagna caoda come si deve…e sarebbe subito Natale! Anche ai Caraibi.

Accecata dalle luci intermittenti appese ai davanzali delle abitazioni spero solo di ritrovare la stella cometa, senza confonderla con un aereo Air France.

Week #26 – a volte ritorno

E’ il titolo del libro che ho appena finito di leggere. Edito da Einaudi, scritto da John Niven giornalista e scrittore scozzese, che non conoscevo. Consigliato da un amico parecchio tempo fa, è rimasto nella mia wishlist di Amazon per mesi, in attesa che si concludesse una sorta di personalissimo “periodo blu” all’insegna dei classici russi (bello, ma ho bisogno di respirare una boccata di scrittura più scorrevole adesso).

Il breve romanzo narra della storia di Gesù Cristo che viene rimandato sulla terra da suo padre (Dio) con il medesimo scopo per il quale era già stato inviato tra gli uomini la prima volta, ovvero diffondere l’unico vero comandamento, o meglio una raccomandazione “Fate i bravi” e a cercare di stemperare una sorta di fanatismo religioso nato da una malsana interpretazione delle sacre scritture e, degenerato proprio nel periodo in cui Dio si stava godendo una meritata vacanza.

Esilarante, coinvolgente, intelligente, critico, “dissacrante e provocatorio” (viene definito da una critica pescata in internet), dal registro “scurrile e con qualche cazzo di troppo” direbbe mia madre affezionatissima al suo “Il Gattopardo”, anche se confesso di aver accusato un po’ di fastidio in questo senso. Ok all’utilizzo delle parolacce in scrittura, talvolta non se ne può fare a meno, ma non quando queste impediscono al lettore di godersi a pieno determinati passaggi, più o meno fondamentali che siano, senza conferirgli alcun valore aggiunto. Dialoghi ben studiati tra i personaggi, impagabile l’ironia che veste quasi ogni situazione, apprezzabile la scorrevolezza del racconto (nonostante la sensazione di aver incontrato qualche “punto morto” tra una scena e l’altra), un po’ sacrificata la descrizione dei personaggi, ma forse per lasciare sfogo all’immaginazione del lettore.

Riporto sotto qualche passaggio più o meno “serio” che ha colpito/divertito non solo me, ma anche altri lettori tanto da evidenziarne e condividerne virtualmente i contenuti. Nota: sia l’autore a livello di stesura del testo, sia Dio in quanto personaggio chiave del romanzo propongono il senso dell’umorismo come “cura” contro il fanatismo cristiano attecchito sulla terra durante il periodo di assenza del Creatore, ma non solo.

“Ecco perché qui sulla terra è andato tutto a puttane. S’era perso il senso della comunità.”

“Mi dia retta, – continua la donna indignata. Di solito “mi dia retta” è un segnale infallibile: stai per ascoltare una marea di cazzate.”

“…se non potevi arrivare al mondo per cambiarlo, allora potevi provare il mondo a cui arrivavi.”

“Dio non disdegna uno spinello di prima mattina, ma a volte si pente del risultato. Gli squali martello? L’ornitorinco? Il culo dei babbuini? Eddài.”

Che ci si trovi sulla sdraio in spiaggia o sotto il piumone in vena di qualche risata (e perché no, anche qualche riflessione), ne consiglio la lettura.

Invito anche – chi ama particolarmente il rock, ma anche chi è “lento” per dirla alla Celentano – ad ascoltare la playlist di Gesù Cristo proposta dall’editore (i pezzi sono effettivamente citati nel romanzo), not bad.

Week #25 – grane

Rammento la coda di immigrati in fila di fronte al portone del commissariato di Corso Monforte a Milano. Mi ci imbattevo ogni volta tra quelle rare mattine in cui riuscivo ad alzarmi a un’ora tale per permettermi di andare in ufficio a piedi e ora quell’immagine la ricordo in maniera differente.

Ho iniziato a darmi da fare per ottenere i vari permessi necessari a risiedere e lavorare regolarmente sull’isola, parte olandese. Una padellata in faccia sarebbe stata più piacevole. Tempi burocratici biblici e millemila scartoffie e procedure in ballo: finchè non richiedi un documento non puoi presentare domanda per ottenerne un altro e così via, per tutto, oltre alle negative implicazioni dovute ai tempi burocratici.

Quando il paradiso si trasforma in un inferno con la sabbia che luccica. Mi vengono in mente per forza di cose i primi frame che introducono la storia in Paradiso Amaro, la voce del doppiatore di George Clooney che recita “I miei amici sul continente credono che solo perché abito alle Hawaii io viva in paradiso. Come fossi in una vacanza permanente. Pensano che qui passiamo il tempo a bere Mai Tai, a ballare l’Hula-Hula e a fare surf. Ma sono pazzi…” e conclude con “…il paradiso può andare a farsi fottere”.

Ecco, se m’immaginate abbronzatissima, in forma strepitosa, a gironzolare per spiagge tutto il giorno, forse ho ecceduto di romanza e di entusiasmo nei precedenti post…

La mia mattinata – dopo aver trascorso una nottata orribile per l’allarme antifurto di un’auto che ha urlato senza sosta e senza che il sordo proprietario della vettura si proccupasse di disattivarlo – è cominciata con la telefonata di un avvocato a cui ho richiesto appuntamento per una consulenza e a distanza di giorni si è finalmente deciso a concedermi mezz’ora del suo tempo (ci ho messo di più a trovare parcheggio a Philipsburg), spillandomi 50 dollari.

Quasi un’ora e mezza per tornare a casa da Simpson Bay dopo essere passata dall’ufficio, tra il traffico abituale e quello creato dai lavori in corso per la manutenzione delle strade (in vista dell’alta stagione ci sono cantieri ovunque!). In un’ora e mezza avrei fatto da Casale a Milano andata e ritorno, da casello a casello. Se non fosse per il panorama di cui ho potuto godere di tanto in tanto avrei tirato giù dalle loro nuvolette cristi e madonne.

Ah, tra l’altro, mentre ero dall’avvocato in sala d’attesa sono stata avvicinata da un omone nero e sorridente con un’espressione del volto buona, ma scaltra se non addirittura subdola allo stesso tempo. Era un predicatore e facendomi l’occhiolino mi ha mollato in mano un suo biglietto da visita su cui – a introdurre le informazioni di contatto – risalta la scritta gialla a caratteri cubitali “Key to Freedom”. E non ero neppure su Candid Camera.

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Sulla strada verso Grand-Case e verso casa.

Week #24 – advertiamoci!

Giorno di colloquio, sono le 10,27. Alzo gli occhi dal computer seduta al mio tavolino della Taste Factory, caffetteria (super) di Simpson Bay (hanno l’Illy, ho detto tutto!). Posto delizioso, pulito e curato, ottima pasticceria, peccato che per un espresso tu debba aspettare in media una mezz’ora. La lentezza dei baristi è inesplicabile, ma per un caffè decente questo e altro. Si potrebbe girare un documentario sui turisti americani e canadesi in coda alla cassa, poi se come sottofondo musicale c’è Bocelli che canta “venite adoremo” il put pourri si fa ancora più fragoroso.

Ah, il mio colloquio è con tale Samantha, proprietaria di un’agenzia di comunicazione ed eventi qui a St. Maarten, alle 11,00. La pubblicità mi ha attirata e accalappiata ancora una volta, temo sia un’idissolubile sposalizio, anzi no, un pacs.

Presa, ho iniziato ieri.

Dopo aver passato il week end febbricitante (un po’ perché avevo davvero la febbre che spero non ricompaia, un po’ a causa del mio stato di esaltazione per l’arrivo di Ro a St. Martin), facendo babysitting al figlio del diavolo per un numero di ore che mi sono sembrate infinite, il lunedì mattina la sveglia suona alle 7. Sono stanca, ma tutto sommato rilassata. Salto in macchina (come sempre in ritardo rispetto alla tabella di marcia che avevo premeditato) e ovviamente, arrivata a Marigot, resto bloccata nel traffico. Non sono una cattolica praticante, ma dopo dieci minuti in coda ho pregato.

Riesco ad arrivare in ufficio, al Puerta del Sol Plaza (che è un normalissimo palazzo moderno nonostante l’appellativo overpromise), spaccando il minuto.

Alle 12,30 la mia testa è già congestionata d’informazioni, il mio Mac non ha quasi più batteria carica nonostante stamattina fosse al 100% e il Burger King di fronte all’ufficio mi sta invitando a scofanarmi panino e patatite.

Resoconto del primo giorno: ho lavoro a sufficienza per passare la serata rispolverando brief, progress e query da proporre ai clienti che possono sempre tornare utili, una deadline parecchio vicina rispetto agli obiettivi da raggiungere (anche qui tutto è da realizzare entro ieri ma senza impanicarsi, belli sereni), mille connesse situazioni burocratiche da sbrigare e il panino del BK (come quello del McDonald’s di Corso XXII Marzo) lo digerirò tra un paio di giorni.

A cena mi sono cucinata una frittatina con i porri, così il mio colesterolo può tenere compagnia al mio ego “alle stelle”. Alè.

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Week #23 – torno a casa dal lavoro e trovo

questo scritto in allegato di posta su Facebook. Avevo chiesto a mia sorella di scrivermi un pezzo per il blog che raccontasse della sua recente vacanza a St. Martin. Mi piace l’idea di riportare testimonianze di terze persone che approdano sull’isola a “causa” mia (Ro preparati). Forse un po’ di parte per amore, parentela… ma ecco il primo “turist post”:

St Maarten, aereoporto Princess Juliana,  ora locale 8.10AM. 

Volo 1369 to Miami. 

Seduta al 24B, abbronzatura rossiccia e obbligatorio  bracciale souvenir del posto, una ragazza è appena stata violentemente cazziata dal passeggero vicino per aver usato il cellulare al momento del decollo. Non emette suoni, ma un fiume di lacrime continua a rigarle il viso; stringere in mano la sua borsa come un bimbo fa con il suo orso di peluche: palese crisi da rientro. Non si sa mai cosa aspettarsi prima di affrontare un viaggio, ma se al ritorno scende qualche goccia di pianto è segno che il soggiorno ha superato ogni aspettativa. Ah, il passeggero seduto al 24B sono io. 

16 ottobre 2013, 21 anni appena compiuti, 3 aerei da prendere, 7200 km e 18 ore di viaggio davanti. Alcune volte i numeri spaventano, ma sono solo un misero dettaglio per raggiungere l’obiettivo finale. Il mio obiettivo? Ricevere un abbraccio da un’abbronzata fanciulla di 1 metro e 80, divenuta ormai una “local” a tutti gli effetti in quel di St Marteen.

Sono tornata da una settimana e mi ostino a non abituarmi alla nebbia monferrina e alla routine torinese: continuo a vivere “sei ore indietro” scambiando il giorno per la notte. Mi manca il profumo di mare, la sabbia calda sotto i piedi, l’acqua limpidissima, mi manca stupirmi guardando pesci che mi nuotano in torno alle gambe, mi manca il moijto frozen di Pinel, il nostro tavolino sul balcone imbandito a colazione, con tanto di conchiglia gigante come centro tavola; mi manca la (ormai mia) poltroncina di vimini rosa, il rimanere stupita e senza parole davanti ad ogni cosa, cenare al Calmos Cafè con la spiaggia illuminata solo da lanterne, Palm Beach e Pina Colada a metà mattina, guardare gli aerei che decollano al Sunset, i tetti coloratissimi e le staccionate dalle sfumature più improbabili, mi manca Radio Transat e la mia fortuna nel beccare sempre la canzone giusta, passare il tempo al casinò quando fuori diluvia, il venticello dello Sky bar, le mille risate e la compagnia sempre eccellente!! Mi mancano addirittura i salti in macchina causati dalle mille fosse della strada, le banane “selvagge” e urlare schifata quando le iguana mi tagliano la strada (detto questo, detto tutto)!!

Chiudo gli occhi e…rieccomi lì…

Sorseggio l’ennesimo drink di “bienvenue”,sono seduta ad Orient bay, la spiaggia (che preferisco chiamare “paradiso” per render meglio l’idea) ad un passo da casa. Nonostante le cuffie nelle orecchie e la musica a palla sono il vento e le onde che si increspano a creare il sottofondo musicale; sono immersa nella pace più assoluta. La spiaggia prosegue accanto a me a perdita d’occhio, il vento muove le palme e spinge lontano le nuvole che in questo momento stanno coprendo il sole; ha spinto in mare gli appassionati di kite surf e vela, uno spettacolo da seguire con lo sguardo mentre spariscono tra un onda e l’altra. Ciò che provo è la più assoluta, genuina e serena pace interiore.

Prima di partire confesso al mio migliore amico il timore di non sapere cos’aspettarmi da questa vacanza; io e Fede non abbiamo mai trascorso una vacanza da sole, un po’ perché non ne abbiamo mai avuto l’occasione, un po’ perché la differenza di età e di carattere per molto tempo si sono fatti sentire. “Vedila così: è la vostra occasione per conoscervi meglio”, e con il sorriso sulle labbra devo ammettere che Gian ha avuto proprio ragione. In fin dei conti queste due Ravizza non sono così diverse… Amiamo la compagnia, ma abbiamo bisogno dei nostri spazi e dei nostri momenti di solitudine. Siamo folli, ma solo chi ci conosce bene lo sa. Non ci fermiamo davanti agli ostacoli e ogni novità è per noi uno stimolo e fonte di curiosità. Talvolta, stupendo anche noi stesse, siamo estremamente sentimentali. Da buona mamma premurosa Fede mi ricorda di mettere la crema, mi fa prendere le vitamine al mattino, si preoccupa che non mi annoi o che sparisca, si diletta in cucina, mi porta nelle spiagge migliori, mi fa provare i cibi più squisiti e le bevande imperdibili (grande Planton, o come si chiama). Da splendida sorella fa sì che i miei giorni a St Martin si tramutino nella vacanza più bella ch’io abbia mai fatto. Divertimento, relax, riflessione…non mi è mancato nulla, e la sua vicinanza ed il suo affetto hanno reso tutto semplicemente perfetto.

Ho scoperto solo il giorno prima di ripartire che St Maarten viene chiamata “the friendly island” (la scritta è addirittura riportata sulle targhe delle macchine locali!), e dopo soli 10 giorni posso confermare che non vi è nomignolo più azzeccato. 

Essere a st martin e sentirsi a casa. Sarà perché l’isola è piccola e la si scopre velocemente, sarà l’amichevole atteggiamento di chi conosci, che pare davvero felice che tu sia sulla sua isola e non aspetta altro che l’occasione di darti il suo benvenuto; sarà la sensazione di pace spensieratezza che si prova ammirando il mare verso l’orizzonte, il sole che regala uno spettacolo di colori illuminando l’acqua cristallina ed il verde intorno. Non avevo ancora messo piede sull’aereo e già fantasticavo sul quando avrei potuto tornare in questo scoglio in mezzo al mare, dove non vi è troppa differenza tra sogno e realtà.

Hai sorpreso tutti con la tua folle ed improvvisa partenza, ma soprattutto hai dimostrato per l’ennesima volta la tua grinta e determinazione. Ti sei lanciata a capofitto in un gioco senza troppe regole, tu, così equilibrata e rigorosa. Com’è giusto che sia, l’isola ti ha cambiata, ed indubbiamente in positivo: hai un nuovo sorriso che non può che allievare la malinconia che proviamo a causa della distanza che vi è fra noi. Sei sempre stata per me un punto di riferimento, l’esempio da seguire, ora sei stata promossa a mio nuovo idolo! Osservare la tua nuova vita sull’isola mi ha fatto riflettere molto sul mio futuro, mi dai il coraggio di azzardare e di seguire i miei sogni non cercando di percorrere la strada sicura e senza difficoltà, ma rincorrendo i propri desideri anche a costo di far salti mortali per raggiungerli. Sono, anzi, siamo sempre più fieri di te; hai iniziato a mostrare la tua creatività e originalità dipingendo girasoli in corridoio, continui a farlo arricchendo te stessa attraverso le nuove avventure che stai vivendo. Non mollare mai, fiera e orgogliosa…

Ti voglio bene.

Week #22 – week #22?

Credo di essermi persa nel mio stesso sistema di conteggio delle settimane e del tempo in generale, ma so che tra un paio di giorni compirò 5 mesi sull’isola. Tanto tempo, ma troppo poco.

Sono le 3 del mattino e sento mia sorella fare lo spelling della password del suo pc a mia mamma che dall’altro lato del telefono si lamenta per non essere riuscita a recepirla correttamente nemmeno al terzo tentativo: “una più complicata no?!”. Scene da…preparazione bagagli.

Ho il magone solo all’idea di dover accompagnare Ceci all’aeroporto domani. Dieci giorni sono troppo pochi per riuscire a vedere tutto, per riuscire a far vivere a una persona St. Martin e St. Maarten, almeno come avrei voluto, come la vivo io. Sono troppo pochi anche per riuscire a ritrovarsi del tutto, come prima, com’eravamo abituate a casa: a vederci sempre, o comunque spesso e a considerarci “complementari”. Credo che la distanza ci abbia anche indotte a diluire questa complementarietà, assorbendo reciprocamente qualcosa l’una dell’altra: io sono tornata a frequentare discoteche, mia sorella – da buona studentessa di architettura – mi parla “tetti con numerose falde inclinati in maniera differente e bizzarra” guardando le abitazioni con la mia stessa ironica spocchia.

La sua vacanza si conclude a casa dei nostri amici italo-olandesi con una cena a buffet, chiacchiere e perle: Manuel nell’illustrarci la sua personalissima teoria secondo la quale consumare troppi alcolici impedisce il mantenimento dell’abbronzatura, perdendosi – credo – in una traduzione letterale dall’olandese all’italiano se ne esce con “l’alcool sbronza”. Non fa una piega, teoria appuratissima.

Facciamo volentieri un giro allo Sky dopo cena, per un ultimo saluto e con l’intenzione di tornare a casa presto. Usciamo dal Tantra, una discoteca di Maho alle 2 passate, con articolo da scrivere (io) e valigia da fare (mia sorella). Disgraziate!

La sveglia è alle 6. Dopo 2 ore e qualche minuto di sonno, sulla strada per l’aeroporto e con la luce del primo mattino ho rischiato i tirare sotto un paio di tizi che facevano jogging (anche carini, sarebbe stato un peccato).

Inutile dire che l’arrivederci all’aeroporto è stato difficilissimo. Alle 7,35 ero sulla spiaggia di Mullet Bay a fringnare ancora con una Diet Coke in mano, cercando di svegliarmi e di combattere la sete. Alle 7,45 a Sandy Ground un “lou-lou” sta già grigliando sul ciglio della strada delle cosce di pollo. Sono ancora stordita dal sonno e percepisco un’altra atmosfera nelle zone dell’isola che sto attraversando e che sono abituata a frequentare in altri orari. Vado a Concordia, quartiere di Marigot alla ricerca della posta centrale, per recuperare un pacco mai ricevuto a casa e che sarebbe già dovuto arrivare. Scopro che il sabato aprono più tardi del solito, alle 9. È destino che vada a consolarmi e fare passare il tempo da Serafina’s coccolandomi con un croissant. Cacchio, già alle 8,15 le vetrine di questo posto fanno venire un attacco di diabete: tra macarons, torte, brioches, pasticcini, tralasciando il reparto pane, panini e annessi, non c’è scampo è come se ti dicessero “Mangiami! Mangiamiii!”. Il tizio davanti a me in coda prende una fetta di chesse cake: ottima idea. Non riesco a pronunciare “succo di frutta” per completare l’ordinazione, in nessuna lingua, ho il cervello che funziona come un motore a scoppio, ma fortunatamente la commessa capisce al volo i miei gesti.

Cecilia sarà ormai decollata. Mi sento di colpo sola. Dal mio telefono – il cui schermo si è frantumato ieri sera per la seconda volta – sono misteriosamente sparite delle applicazioni e mi aspettano 9 ore di babysitting a un animale selvatico. Tristezza…

Week #21 – sorellame

Tre giorni fa mia sorella è atterrata a St. Maarten. L’ho attesa per più di un’ora, trepidante, agli arrivi. L’ho vista attraverso il vetro acidato che separa la zona di recupero dei bagagli dall’uscita camminare avanti e indietro ansiosamente. Ho capito subito che il suo bagaglio doveva aver preso un’altra destinazione. Al telefono mi da conferma e ben tre miei “porca troia” quasi consecutivi fanno eco scontrandosi con l’alto soffitto che sormonta la zona degli arrivi del Princess Juliana, urtando i timpani delle sole altre due persone presenti in quell’ala dell’aeroporto, a quell’ora: una tizia della security e quella del punto informazioni.

Saliamo in macchina con la contentezza per l’esserci rincontrate un po’ guastata dalla sparizione della valigia (con dentro buona parte del mio guardaroba estivo) e inizio a trasferire a Ceci le ultime novità o ad approfondire quelle vecchie, interrotte dalla voce della seconda me in versione “accompagnatore turistico”. Credo di non aver mai parlato tanto in vita mia, in una sola mezz’ora. Ed ero talmente emozionata quando le ho portato a tavola una fetta di torta al lampone e cioccolato bianco con guarnizione di macarons (una bomba!!) di Serafina’s, da non essere riuscita a far funzionare quella maledettissima candelina che intona il motivo di Happy Birthday (sì, ho anch’io un recondito lato trash). Troppo impaziente, le istruzioni sono riuscita a metabolizzarle solo dopo il primo boccone di torta.

L’ansia da prestazione mi distrugge: “dunque potremmo fare questo, poi quest’altro, domani invece questo… Ma le piacerà quest’isola?”. In veste di sorelle maggiori ci si sente sempre responsabili dei fratelli/sorelle minori, per natura credo. E molto spesso il più duro compito è cercare di renderli – se non felici – soddisfatti e riconoscenti.

Alla fine ho optato per una terapia di adattamento drastica, quella del “facciamola bere e questo posto diventerà subito il paradiso”. La giornata parte con una pinacolada a Palm Beach alle 11,30 dopo una passeggiata lungo tutta la Baia Orientale. La sera, essendo giovedì, non poteva non trascorrersi al Calmos Café: solita serata Salsa in compagnia di due amici parigini (la cui imitazione degli americani in spiaggia è esilarante), che si conclude alle 24,00 circa con il Planteur della staffa. Ciò che i nostri fegati hanno filtrato durante questo arco di tempo è un dettaglio non pubblicabile.

I nostri commensali, a cena, ci invitano a trascorrere la giornata successiva insieme a loro a Pinel e accettiamo volentieri. Ho la conferma che anche mia sorella può vantare di possedere più melanina di me: l’unica che riesce ad abbronzarsi, senza troppo arrossarsi al secondo giorno di Caraibi e senza una protezione – a mio avviso – abbastanza elevata. Fastidio…

La sera con Manuel (il nostro amichetto d’infanzia olandese arrivato la mattina), raggiungiamo Chris (lo skipper, rientrato qualche giorno fa da Cannes) allo Sky (terrazza con sabbia in cima a un palazzo nel cuore di Maho. Bel locale, non lo conoscevo. Ci penso ancora, mentre Cecilia è collassata nel letto da una mezz’ora dopo aver dichiarato “no, no, non dormo, controllo solo il cellulare”. La raggiungo, ma senza controllare il cellulare: crollo all’istante.

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Sky Lounge